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Giovanni Paolo II e l’Informazione Il ruolo dei mass-media nel pontificato di Wojtyla

Antonio Tarallo Freepik
Pubblicato il 22-10-2018

Così Giovanni Paolo II – di cui oggi ricorre la memoria liturgica – in merito al valore etico della comunicazione

“Voi siete chiamati ad impegnare la vostra professionalità al servizio del bene morale e spirituale degli individui e della comunità umana. E’ qui il punto nodale della questione etica, che è inseparabile dal vostro lavoro. Con la sua vastissima e diretta influenza sulla pubblica  opinione, il giornalismo non può essere guidato solo dalle forze economiche, dai profitti e dagli interessi di parte. Deve essere invece sentito come un compito in certo senso "sacro", svolto nella consapevolezza che i potenti mezzi di comunicazione vi vengono affidati per il bene di tutti, e in particolare per il bene delle fasce più deboli della società: dai bambini ai poveri, dai malati alle persone emarginate e discriminate”. E citando un documento del Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali, “Etica nelle comunicazioni sociali”, edito nell’anno giubilare del 2000, rivolgeva un accorato invito ai giornalisti “a servire la persona umana attraverso l’edificazione di una società fondata sulla solidarietà, la giustizia e l’amore, attraverso la comunicazione della verità sulla vita umana”.

Così Giovanni Paolo II – di cui oggi ricorre la memoria liturgica – in merito al valore etico della comunicazione, dei media, nel discorso scritto in occasione del Giubileo dei giornalisti del 2000.   Mai, come in questo momento storico, si è parlato, forse, di comunicazione e Chiesa. Le ultime vicende vicino San Pietro, lo sappiamo tutti, hanno posto sotto i riflettori – appunto – questo delicato tema. Ma era stato già Karol Wojtyla a incominciare a “snocciolare” “la questione”, durante il suo pontificato. Basta semplicemente, ritornare, solo per un attimo, al fulcro di quel discorso: “i potenti mezzi di comunicazione vi vengono affidati per il bene di tutti, e in particolare per il bene delle fasce più deboli della società: dai bambini ai poveri, dai malati alle persone emarginate e discriminate”. Il pensiero del pontefice polacco era stato, subito, rivolto ai deboli, agli ultimi, ed era anche fortemente presente l’idea che proprio l’Informazione potesse assurgere a sprone per l’edificazione di una società “fondata sulla solidarietà, la giustizia e l’amore”.

Wojtyla, fine uomo di comunicazione, aveva compreso fin dal primo giorno di pontificato, anzi già dalla sera della sua elezione di quel fatidico 16 ottobre di quarant’anni fa, l’importanza che l’Informazione (la stampa e la televisione, internet arriverà negli ultimi anni di pontificato) avrebbe ricoperto nei suoi giorni a seguire. Il discorso alla loggia di Piazza San Pietro, già era un chiaro “programma” di quello che sarebbe stato il suo magistero. Un discorso, prima della benedizione da papa neo-eletto? Non era certo consuetudine! Ma lui, nel suo fare “domestico” (con quell’invocazione, appena affacciatosi, da “curato di campagna” “Sia lodato Gesù Cristo!”) ma, allo stesso tempo – appunto – mediatico, volle parlare al “popolo di Dio”, con parole semplici. Non era certo ignaro che davanti a quella piazza, fosse presente non solo il popolo romano, e qualche “turista” o “pellegrino”, ma l’intero mondo mediatico dell’epoca, composto da telecamere, microfoni, bloc-notes, di tanti e tanti giornalisti provenienti dalle parti più disparate del mondo. Wojtyla, già in quel discorso, dà l’impressione di essere avvezzo ai microfoni. Anzi, sembra proprio di esserlo stato non si sa da quanto tempo. Sembra quasi un discorso provato e riprovato non si sa quante volte, mentre, è naturale che sia nato in quel “hic et nunc” della sua prima “uscita” da pontefice.

Il dialogo con la stampa, con ogni singolo giornalista, sarà questa una prerogativa della comunicazione personale di Giovanni Paolo II. L’aggettivo “personale” non è scelto a caso.  Infatti, dagli interventi del sommo pontefice, dalle interviste da lui rilasciate, dalle testimonianze letterarie (molti sono stati i libri scritti con svariati giornalisti) sembra emergere proprio questo particolare carattere, quello “personale” appunto, che oggi sembra quasi naturale, ma che diversi anni fa, non era certo all’ordine del giorno. Le interviste sui voli dei viaggi apostolici ne sono una lampante prova. Un’ “invenzione” mediatica di non poco conto. Era il gennaio 1979, in occasione del viaggio in Messico. Da quel giorno in poi, ogni giornalista aveva l’impressione – e non, certo, solo l’impressione – di essere “portatore” del messaggio che il Santo Padre voleva che fosse trasmesso. Giovanni Paolo II parlava sì da pontefice – mai dimenticandosi di essere il successore di Pietro, e di rappresentare la Chiesa – ma il “canale” per trasmettere il pensiero del Magistero, diveniva ogni singolo giornalista “a bordo”.

Tanti sarebbero gli aneddoti da raccontare sul rapporto comunicazione-Giovanni Paolo II.  Oltre a quelli riguardanti l’altra importante “invenzione” comunicativa del pontefice polacco,  la “Sala Stampa vaticana”. Organo d’informazione della Santa Sede che, seppur vede il suo nascere nel 1936 (era chiamato Ufficio Informazioni, a fianco dell’ ”Osservatore Romano” col compito di trasmettere informazioni ai giornalisti accreditati) per poi meglio strutturarsi nel 1966 al termine del Vaticano II, acquisterà una propria struttura grazie all’esortazione apostolica “Bonus pastor”, del 28 giugno 1988.

Ma un episodio, a mo’ di chiusa, difficile non menzionarlo. Piazza San Pietro, sabato 8 ottobre 1994. L’occasione è l’incontro mondiale delle famiglie. Sappiamo bene che le dirette, le trasmissioni, sono, da sempre, legate ai così detti “tempi televisivi”. Un dato che non era certo estraneo nemmeno al pontefice, al grande comunicatore che era Giovanni Paolo II. Accorgendosi di essersi dilungato troppo nel discorso, a un certo punto, dirà: “Io debbo dire che mi hanno concesso 25 minuti, e non so se questi 25 minuti sono già passati, o non ancora . . . Ecco, vedete che il Papa è sottoposto a costrizioni rigorose, molto rigorose…”. Non c’è che dire: un uomo che conosceva bene i tempi…  e non solo quelli televisivi.


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