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Camminatori e pellegrini fanno rivivere la via Francigena

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

C’è una barca sul Po che ti evita quel tratto un po’ noioso del «confine» piacentino. T’imbarchi a Orio Litta (Lodi) e arrivi quasi a Piacenza. Piccolo tratto della grandiosa Via Francigena, che da Canterbury raggiunge Roma dopo 1.600 chilometri. Orio Litta (poco più di 2mila abitanti) la scorsa estate è salito sul palcoscenico mondiale dell’Expo milanese a parlare delle «giornate dei cammini». E tutto per quella barca che naviga sul Po con qualche pellegrino, traghetto di un sentiero antico che il vescovo Sigerico percorse in 79 giorni nell’anno 990. E fu viaggiatore attento, scrisse un diario minuzioso poi servito per la memoria dei posteri.



LA RINASCITA 

Oggi la Via Francigena ha preso slancio, dopo un abbrivio faticoso negli Anni 90 e dopo il fuoco di paglia del 2000. Per quel Giubileo i parrocci furono invitati ad accogliere i pellegrini. «Fu un successo - ricorda il professor Sergio Valzania, camminatore della Francigena e già direttore di Radio3 della Rai -. Cominciarono i “timbri” comprovanti il cammino, poi però quell’ospitalità scemò. Ci furono anche polemiche».

Valzania fece alcune trasmissioni radiofoniche con ospiti illustri, dal matematico Piergiorgio Odifreddi all’attore David Riondino. Valzania il camminatore con fede e Odifreddi il laico impenitente che citava Sant’Agostino e Leopardi. Tutto camminando per chilometri, giorni, settimane. Riondino offre questa lettura di tanto camminare: «E’ un’occasione per stare insieme e anche per meditare. Quel camminare è il modo più semplice per entrare in un’altra dimensione». La dimensione è quella del pellegrinaggio «che tu creda oppure no». Riondino: «E’ un modo per camminarti dentro, per riattraversare un tuo privato. L’umanità ha sempre cercato questa dimensione. Meditare su una colpa, perfino un delitto, un tempo. Adesso su un passaggio di vita, su una domanda che ti poni».

Dalla caotica Canterbury al Nord della Francia, dopo aver traghettato la Manica, poi giù per la Champagne, la lunga marcia in terra di Francia, anzi dei Franchi (di qui il nome della Via), poi la Svizzera e le Alpi, il valico del Gran San Bernardo, impiccato a oltre 2.400 metri. Colle di solito freddo e dalle atmosfere misteriose, tra il piccolo lago e i monti a guglia che si affacciano su una vallata che offre natura e storia. Di lì passò nel 1800 Napoleone e perfino un giovane Ernest Hemingway che vergò il diario dell’Ospizio dei canonici del colle prima di d’infilarsi in una discesa nella neve alta che gli costò un paio di scarponi.

La Francigena è ancora molto lontana dai numeri di passaggi della più famosa via verso Santiago di Compostela (200mila l’anno), ma proprio per il Giubileo e per gli investimenti fatti negli ultimi anni sta pian piano prendendo quota. 



IL FILOSOFO 

Ha un percorso verticale che l’arcivescovo filosofo Sant’Anselmo d’Aosta fece all’inverso. Risalì dalle Alpi per finire all’abbazia del Bec in Normandia e di lì passò poi a Canterbury, nominato alla carica del più alto prelato d’Inghilterra. Valzania ricorda «che nessuno fa per intero la Francigena». E dice del tratto di Francia: «I francesi hanno un’idea diversa, del viandante non del pellegrino. Nei loro tratti le indicazioni sono sempre nei due sensi». 




 

In Italia le segnalazioni sono aumentate, ma c’è ancora da fare. Qualcuno come Umberto Gallo, di Stresa, che da Aosta è arrivato fino a Roma ricorda di aver dovuto «sfuggire a troppi cani» e di aver affrontato «un’ospitalità diciamo migliorabile: un tempo i pellegrini erano santi, ora qualcuno ti tratta in malo modo». Ma i luoghi per la maggioranza dei casi sono indimenticabili. Riondino: «In Toscana, da San Gimignano a Siena». Molto meglio che ai tempi di Sant’Anselmo, come sottolinea Valzania: «Era una terra impaludata, ecco perché molte zone si chiamano Isola. E Siena divenne ricchissima perché passaggio obbligato». Poi c’è la Via del Sud, in Puglia, da dove ci si imbarcava per la Terra Santa. Fra i “miracoli” della Francigena questo non c’è più, ma dal 24 marzo al 3 aprile nell’area laziale del parco archeologico di Veio s’incontreranno cinque gruppi in rappresentanza del mondo e fra loro un frate, un rabbino e un imam. (ENRICO MARTINET - La Stampa)

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