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'Io li amo e loro mi amano...' a colloquio con il Card. Loris Capovilla

ORAZIO LA ROCCA
Pubblicato il 30-11--0001

Eminenza, cosa ha provato quando ha saputo che Giovanni XXIII ascende agli onori degli altari nella lunga schiera dei santi venerati da tutta la Chiesa cattolica?

“Per favore non chiamatemi eminenza. Io sono e sarò sempre don Loris. Cosa ho provato alla notizia della santificazione del Santo Padre? Mi sono raccolto in preghiera e sono stato a lungo immerso nel silenzio. È quanto mi sento di fare alla mia età. Naturalmente sono contentissimo, ma non per me, per lui, per papa Giovanni che così torna a riprendere il suo posto nel cuore della gente, anche se immagino che non sia mai stato dimenticato da nessuno”.

Arrivare alla santità è comunque un riconoscimento importantissimo. Per un Papa, poi, forse c'è qualche significato in più. Forse è come premiare un intero pontificato. Non è vero?

“Non ho mai voluto parlare, in passato, della beatificazione di papa Giovanni. E tanto meno lo faccio ora con la santificazione per un senso di rispetto e pudore. Preferisco, invece, pensare che il riconoscimento della sua santità gli sia stato assegnato per la sua lunga testimonianza fatta come servitore della Chiesa, un servizio fatto col cuore e con l'animo in tutta la sua vita, fino a quando ci lasciò a 81 anni e 6 mesi, sempre con la dolcezza del padre, col sorriso, con quegli occhi che in qualsiasi momento esprimevano dolcezza, comprensione, amore. Lui si faceva capire con poche parole, con espressioni semplici, con quegli occhi che esprimevano sempre la dolcezza e la curiosità tipiche dei bambini. Non si spiega diversamente il successo mondiale che ebbe con quel suo discorso alla luna, la sera dell'inaugurazione del Concilio, quando invitò quanti lo ascoltavano in piazza San Pietro e attraverso i mezzi di comunicazione di fare una carezza ai bambini dicendo loro che era la carezza del Papa”.

Come ricorda papa Giovanni XXIII

 ''Pur avendo contribuito ad aprire la Chiesa al mondo contemporaneo con l'indizione del Concilio, per me e' stato un prete all'antica, sempre legatissimo al terreno solido della rivelazione cristiana, un legame che diede tono e slancio al suo servizio. Egli volle essere il prete segnato a fuoco dalla familiarità con Cristo, e di null'altro preoccupato se non del nome, del regno e della volontà di Dio''.

Qual è il segreto che fa di Giovanni XXIII un pontefice tanto amato da credenti e non credenti a 50 anni dalla morte?

“Può sembrare forse inconcepibile, ma il segreto del successo di Angelo Giuseppe Roncalli sta nella matrice tradizionale, e ciò nonostante dinamica, della sua formazione e cultura ecclesiastica, nell'apparente paradosso tra severo conservatorismo e umana ed evangelica apertura''.

Dunque, un grande papa, ma soprattutto un papa coerente e semplice, innamorato di Cristo e dell'uomo, specialmente il più sofferente. Una prova?

''Basti pensare che da chierico appena quattordicenne iniziò a scrivere il suo Giornale dell'anima, raccontando pensieri personali, confessioni, preghiere quotidiane, continuando a scriverlo sino a ottantuno anni, senza mai mutare temperamento e costume. Lungo tutto l'arco della sua esistenza Angelo Giuseppe Roncalli rimase lo stesso prete della giovinezza, con quella sua caratteristica e mai smentita coerenza di pensiero e di azione, che trova preciso riscontro in ogni variazione di ministero e di ufficio (da semplice prete e nunzio, da Patriarca a Pontefice), pur nei suoi limiti umani, e coi difetti e le carenze di natura, di ambiente e di momento storico in cui dovette operare''.

Eppure per la gente è stato, è e sempre sarà il Papa Buono, anche con la proclamazione della sua santità.

"Per favore, non chiamate più Giovanni XXIII il 'Papa buono'. Sono anni, oltre mezzo secolo, che contesto questa definizione. Non perché Roncalli non sia stato un buono. Tutt'altro. L'appellativo di 'Papa buono' viene usata dalla stampa in modo improprio, quasi per mettere Giovanni XXIII in contrapposizione con chi lo ha preceduto e seguito, in particolare Pio XII e Paolo VI, che in verità non erano mica Papi 'cattivi'...".

Ma come si arrivò a chiamare Giovanni XXIII papa buono?

"A formulare questa definizione non è stata la stampa nè i potenti, ma e' stato il popolo romano. Era il 7 marzo 1963 ed era prevista una visita di Giovanni XXIII nella parrocchia di San Tarcisio, al quartiere Quarto Miglio nella periferia Sud di Roma. C'era la campagna elettorale e i parrocchiani, col placet di tutti i partiti, decisero di coprire i manifesti di propaganda politica con teli bianchi e la scritta 'Evviva il Papa buono!'. Da quando il Papa visitò la parrocchia, quell'aggettivo gli rimase appiccicato addosso. E dura ancora oggi".

Lei quindi è fermamente contrario a questo appellativo.

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