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'IL SIGNORE TI DIA PACE' di padre Enzo Fortunato

Enzo Fortunato
Pubblicato il 30-11--0001

Le Parole di Francesco dettate nel Testamento e riportate nella Leggenda Perugina: “Il Signore mi rivelò che dicessi questo saluto: Il Signore ti dia Pace”

Le Parole di Francesco dettate nel Testamento e riportate nella Leggenda Perugina: “Il Signore mi rivelò che dicessi questo saluto: Il Signore ti dia Pace”, rivelano e caratterizzano il percorso francescano. Il saluto di pace, come ci ricorda la storicaMilvia Bollati, definisce l’identità stessa del frate minore e del suo essere nel mondo. Francesco esorta i suoi frati aportare a tutti questo saluto come annuncio e benedizione. “In ogni suo sermone, prima di comunicare la parola di Dio al popolo, augurava la pace. In questo modo otteneva spesso, con la grazia del Signore, di indurre i nemici della pace e della propria salvezza, a diventare essi stessi figli della pace e desiderosi della salvezza eterna” (Tommaso da Celano).

Ma anche la Leggenda dei tre compagni annota come il Santo esortasse i suoi confratelli di cordata: “La pace che annunziate con la bocca, abbiatela ancor più copiosa nei vostri cuori. Non provocate nessuno all’ira o allo scandalo, ma tutti siano attirati alla pace, alla bontà, alla concordia dalla vostra mitezza. Questa è la nostra vocazione: curare le ferite, fasciare le fratture, richiamare gli smarriti”.

Tommaso da Spalato, che vide Francesco predicare a Bologna il 15 agosto 1222, riporta che “tutta la sostanza delle sue parole mirava a spegnere le inimicizie e a gettare le fondamenta di nuovi patti di pace. Portava un abito sudicio; la persona era spregevole, la faccia senza bellezza.

Eppure Dio conferì alle sue parole tale efficacia che molte famiglie signorili, tra le quali il furore irridibile di inveterate inimicizie era divampato fino allo spargimento di tanto sangue, erano piegate a consigli di pace”.

Lo storico Felice Accrocca annota che quando l’uomo trova Dio, che è pace, allora ritrova anche quell’armonia che lo fa capace di lode perenne e il suo cuore cessa di essere un arsenale pronto a esplodere, per divenire un pozzo di misericordia: “Beato quel servo – dice Francesco – il quale non si inorgoglisce per il bene che il Signore dice e opera per mezzo di lui, più che per il beneche dice e opera per mezzo di un altro. Pecca l’uomo che vuol ricevere dal suo prossimo più di quanto egli non voglia dare di sé al signore Dio”.

Tre consapevolezze

Predicare significa comunicare, confrontarsi. Esempio è l’incontro tra San Francesco e il Sultano Melek el Kamel.

Una pagina storica del francescanesimo del 1219. Un incontro che si apre con la diffidenza e il timore e si conclude con la stima e l’amicizia reciproca tra l’uomo di Assisi e l’uomo islamico. Credo che tutti vorremmo sapere la chiave che permette una simile trasformazione.

Per quanto ci è dato di sapere Francesco va in Egitto con una triplice consapevolezza: ispirato dal Signore... testimoniare con la vita più che con le parole... e infine, “solo” quando sarà opportuno, annunciare il proprio credo.

Tre atteggiamenti non semplici, perché molte volte è il nostro bisogno di affermazione e non il riferimento ad una illuminazione che viene da Dio a metterci in movimento...; non semplice, perché amiamo più spesso parlare che testimo-niare...; non semplice, perché a volte preferiamo annunciare brutte notizie che belle notizie.

Ecco allora lo stile prospettato dalla Regola non Bollata del 1221 (Fonti Francescane 42), a pochi anni da quell’incontro con il sultano... che avrà segnato sicuramente la vita di San Francesco. Un episodio carico di significati che possiamo vivere quotidianamente nella semplicità delle nostre azioni aprendoci con il sorriso alla vita, all’altro, a Dio con la pace nel cuore.

Quattro gesti

Il volume “How enemies became friends”, (Come i nemici diventano amici), di Charles Kupchan propose quattro corsie preferenziali per raggiungere la pace.

Si parte da un’offerta unilaterale per vedere se il nemico accetta; si continua mettendo in atto la moderazione reciproca, cioè dalla rivalità alla cooperazione; si passa così alla stagione dell’integrazione, attraverso l’incontro e il dialogo;

infine matura il nuovo modo di essere. Questo quarto passo è messo in atto dalla generazione Erasmus, un progetto che permette ai giovani di passare un periodo di studi all’estero con altri ragazzi. Quest’ultima realtà è poco studiata perché come affermava ironicamente Thomas Hardy: “La guerra fa scrivere storie fragorose, la pace annoia”.

Questo percorso suggerisce altrettanti passi francescani che potrebbero rappresentare consapevolezze utili ad animare un agire pacificante. La prima è la lotta interiore, la seconda il rapporto con i ladroni, poi il rapporto con il lupo di Gubbio, infine il rapporto

con il Sultano. Praticamente conseguire la pace con se stessi, con l’uomo, con il nemico, con l’estraneo. Come fare allora per far diventare il nemico amico?

Francesco ci indica l’importanza di accogliere la lotta interiore che viviamo quotidianamente tra i desideri della carne e i desideri dello spirito. Chi di noi non sperimenta il desiderio della concupiscenza, desideri che non vorrebbe vivere?

Quante volte emergono desideri buoni, belli, veri, di perdono, di umiltà e di pace? È una lotta costante dentro di noi che si assopirà solamente con l’abbraccio con Dio. Prenderne coscienza accogliendola e offrendola al Signore ci aiuterà ad essere più miti. Se ognuno di noi si mettesse la mano sul proprio cuore difficilmente giudicherebbe e condannerebbe.

Negli scritti di Francesco i passi dedicati alla lotta interiore sono quelli più ampi (Fonti Francescane 48).

Il secondo passo è la lezione che il Santo dona ai suoi frati quando respingono i ladroni di Montecasale. Francesco invece li invita a pranzo e – ci raccontano le cronache – si convertirono e divennero frati (Fonti Francescane 1646). È la logica del perdono.

Poi abbiamo il noto episodio con il lupo di Gubbio che sottende la questione sociale, il rapporto con il nemico. Il lupo spaventava perché non aveva di che mangiare. Francesco mette in atto la pedagogia della comprensione, dandogli ristoro, guadagnandone la fi ducia (Fonti Francescane 1852).

Infine il rapporto con il Sultano, con l’estraneo. È un punto di arrivo interessante dove il nemico diventa fratello attraverso il dialogo e la stima che abbatte la barriera della minaccia e della rivendicazione (Fonti Francescane 1173). Era il lontano 1219 e gli altri episodi ruotano intorno a questi anni che gettano la base per quello che sarà poi lo Shalom francescano “fatto di accoglienza, di perdono, di comprensione e di dialogo”.

Vogliamo percorrere questi passi anche noi, consapevoli che la pace è un cammino faticoso, e prima ancora dono di Dio.

Il Percorso

Il percorso che ha portato San Francesco d’Assisi a essere uomo di pace affonda le sue radici nella relazione profonda con Cristo. Questo percorso potremmo simbolicamente tracciarlo in tre momenti. La prima notazione è tratta dalla Regola non bollata del 1221 “Tutti i frati, tuttavia, predichino con le opere. E nessun ministro o predicatore consideri sua proprietà il

ministero dei frati o l’ufficio della predicazione, ma in qualunque ora gli fosse ordinato, lasci, senza alcuna contestazione, il suo incarico” (Fonti Francescane 46). Il secondo momento è quello in cui Francesco dichiara le rivelazioni del Signore “Il Signore mi rivelò che dicessimo

questo saluto: “Il Signore ti dia la pace!” (Fonti Francescane 121). La terza trattata nella Leggenda dei tre compagni propone come unica

fonte la formula più nota nel mondo del saluto francescano di pace e bene:“Egli aveva avuto, prima della conversione, un precursore nell’annunzio di pace, il quale percorreva di frequente Assisi salutando col motto: «Pace e bene! pace e bene!»”. “Francesco, animato dallo spirito dei profeti

e seguendo il loro linguaggio, come echeggiando il suo precursore, annunziava la pace e predicava la salvezza. Moltissimi, persuasi della sua parola, si riconciliavano in sincera concordia, mentre prima erano vissuti ostili a Cristo e lontani dalla salvezza.” (Fonti Francescane 1428).

Ciò dice prima di tutto che devono essere i gesti a parlare, più che le parole. Ci dicono che l’annuncio di pace nasce dall’incontro con Cristo per i credenti, mentre per gli uomini di buona volontà la pace nasce dall’incontro con i valori che costituiscono la vita. Ed infine l’uomo di pace, vive il Bene, compie il Bene, dona il Bene e come diceva Lonergan: “Ilbene è sempre concreto”.

È evidente che tutto questo fa parte di un percorso, di uno sviluppo e non nasce dall’oggi al domani. Chiunque dice che essere uomini di pace è semplice ahimé si sbaglia. È un cammino faticoso, ma avvincente.

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