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SAN FRANCESCO, IL POVERELLO INNAMORATO

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

«Io penso, Signore, che tu ne abbia abbastanza della gente che parla di servirti con un piglio da condottiero, di conoscerti con aria da professore, di amarti come si ama in un matrimonio invecchiato. Un giorno in cui avevi voglia d'altro, hai inventato san Francesco e ne hai fatto il tuo giullare. Lascia che anche noi inventiamo qualcosa per gente allegra che danza la propria vita con te». Sono parole di una straordinaria donna francese, Madeleine Delbrêl (1904-1964), dotata di un alto carisma mistico, ma impegnata concretamente nel quartiere parigino di Ivry, uno dei più miseri e degradati.


Non solo per lei ma per tutti, credenti e agnostici, persone colte e gente semplice, Francesco d'Assisi costituisce una sorta di icona. Il capostipite simbolico di questi ammiratori è naturalmente Dante, che del santo ha disegnato un memorabile ritratto poetico mettendolo in bocca al domenicano Tommaso d'Aquino nel canto XI del Paradiso. Ai nostri giorni il fatto che per la prima volta un Papa abbia assunto il nome di Francesco e che sia stato pellegrino nella sua città ha prodotto anche un ritorno di interesse alla figura di «colui che fece tutto da innamorato», come ha definito san Francesco lo scrittore inglese Chesterton.


E per testimoniare come egli varchi le frontiere delle divisioni ecclesiali, basterà evocare il romanzo Il poverello di Dio che lo scrittore neoellenico Nikos Kazantzakis pubblicò nel 1956 e che ora viene riproposto dall'editore Crocetti. Nato a Candia nell'isola di Creta nel 1882, viaggiatore indefesso, cultore eclettico delle più disparate esperienze culturali e spirituali, l'autore del famoso Zorba il greco, è affascinato dal santo di Assisi e dalla sua vicenda umana e religiosa, così come lo è stato da quella di Cristo (basti citare L'ultima tentazione del 1952 che genererà, nel 1988, il provocatorio film di Martin Scorsese).  


La sua non è una biografia, ma è una libera ri-creazione delle fonti storiche da parte di uno dei compagni di Francesco fin dalla prima ora, quel frate Leone al quale il santo impose l'ordine: «Scrivi quale è la vera letizia» e la pagina diverrà una sorta di vessillo della scelta di vita francescana. Kazantzakis si pone, quindi, nell'animo di questo discepolo che cerca di entrare a sua volta nell'animo e nel cuore di Francesco, trasfigurandone fino ai limiti della leggenda pensieri, emozioni, atti nella certezza che «tutto è miracolo: che cosa sono l'acqua che beviamo, la terra che calpestiamo, il sole, la luna, la notte che scende tutte le sere con le sue stelle? Sono miracoli...». Talora nello scrittore greco il genere del "fioretto" sconfina nel l'affabulazione, il dettato diventa fiammeggiante, gli eventi perdono le spoglie della storia per assumere il manto luminoso di un'epifania trascendente («Non sono io che parlo, è Cristo!»), il racconto si fa ora idilliaco ora rovente e approda all'ultimo flebile sussurro di Francesco: «Povertà, Pace, Amore...».

L'incontro personale di Kazantzakis col santo era iniziato nel 1896 quando frequentava la scuola dei Francescani a Naxos, ma aveva avuto una svolta radicale proprio ad Assisi ove egli si era imbattuto nello scrittore danese Jens Johannes Jørgensen che, sedotto dal santo al quale dedicherà una famosa biografia nel 1907, si era stabilito nella città umbra. Era il 1924 e Kazantzakis scriveva alla sua prima moglie Galatea: «Talvolta la convinzione che il mio solo dovere è seguire la strada di san Francesco è così forte che il sangue mi sale alla testa». Questo rimpianto di non averlo seguito avrà come compensazione proprio il romanzo dedicato al Poverello, apparso alle soglie della morte dello scrittore, avvenuta a Friburgo in Brisgovia nel 1957. Come egli dichiarava nella premessa all'opera, Francesco ha saputo «trasformare in spirito la materia che Dio gli aveva affidato».

In apertura abbiamo collegato il santo di Assisi a una donna dalla natura mistica e attiva. Ebbene, un francescano teologo e operatore pastorale, Fabio Scarsato, accosta tra loro in modo suggestivo Francesco a una straordinaria donna ebrea olandese da noi posta alla ribalta del nostro giornale più di una volta, Etty Hillesum, uccisa dai nazisti ad Auschwitz a 29 anni nel 1943. Lo sforzo di padre Fabio è proprio quello di individuare le affinità elettive che uniscono due personaggi così diversi e distanti, eppure vincolati dal legame comune dell'amore per Dio e per l'uomo. Con rigore anche filologico si scoprono i ponti che corrono tra queste due anime, dalla contemplazione religiosa del creato all'esperienza della presenza divina in se stessi per cui si è "portati da Dio" e "portatori di Dio", dall'apertura al mondo dei diversi, per cui è necessario per il credente "esserci" anche in orizzonti ostili, fino alla comune scoperta della "debolezza" di Dio: per Francesco nel Bambino del presepe, nel Cristo piagato e crocifisso e negli ultimi della terra, e per Etty nel l'oscurità della sofferenza e nelle vittime del male.

«Francesco e Povertà per questi amanti prendi»: è l'invito che Dante rivolge a chi vuole comprendere la figura del Poverello di Assisi nel suo intimo. L'incontro di Francesco con la Povertà sarà un connubio nuziale con una sposa amata, a cui restare fedele fino alla morte, «vagheggiata dallo stesso Re dei re», "signora e madonna" affascinante, come dirà il santo. Allo studio del significato profondo sotteso a questa dichiarazione d'amore Carmine Di Sante dedica un bel saggio che risale alla matrice cristologica e all'attestazione documentaria degli scritti di e su Francesco, senza ignorare le difficoltà interpretative di questa categoria, difficoltà per altro emerse già alle origini del francescanesimo.

Di Sante isola come nucleo esplicativo la nozione di "disappropriazione" (dalle cose, dalle cariche, dal denaro, dalla stessa volontà personale) e ne tenta una declinazione positiva. Essa passa attraverso la liberazione dell'io, lo svuotamento interiore per lasciare spazio all'amore per Dio e per il prossimo, la giustizia, la fraternità, così da ricomporre quella "condizione edenica" che era il progetto divino sulla sua creatura più alta, progetto frustrato dalla libertà umana e dalle sue scelte antitetiche. «Questa è la sublimità dell'altissima povertà» che genera «la perfetta letizia», come confesserà lo stesso Francesco. Un messaggio che deve inserirsi come spina nel fianco dell'odierna società protesa solo al possesso, incapace di scoprire la gratuità e il dono come antidoto alla degenerazione dell'economia in mero mercato o finanza.

Cardinale Ravasi - Sole 24 Ore

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