Papa Francesco a Lampedusa per vincere indifferenza con il dono delle lacrime

di Edoardo Scognamiglio

A Lampedusa, questa mattina, papa Francesco ha chiesto perdono a Dio per l’indifferenza verso i tanti fratelli e sorelle che sono morti nel disperato tentativo di raggiungere l’isola su vecchi barconi e navi di salvataggio, imbattendosi in naufragi, tempeste e malesseri fisici. Sono morti più di ventimila immigrati: non hanno un nome, né un volto; riposano in pace, i più fortunati, in tombe anonime dell’isola di Lampedusa, mentre molti corpi sono stati consegnati agli abissi marini e divorati dai pesci. I superstiti, quasi tutti provenienti dall’Africa del Nord-est, di fede islamica, ringraziano volontari, militari, medici e religiosi che si sono prodigati in mille modi per la prima accoglienza e l’immediato soccorso sanitario.


Le parole di papa Francesco pronunciate a Lampedusa questa mattina durante la celebrazione eucaristica danno molto a pensare e non possono non metterci in crisi. Il vescovo di Roma ci ha provocati con delle domande fondamentali, spingendoci a riflettere e a cambiare concretamente certi nostri atteggiamenti. «Adamo, dove sei?»: è la prima domanda che Dio rivolge all’uomo dopo il peccato. «Adamo è un uomo disorientato che ha perso il suo posto nella creazione perché crede di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio. E l’armonia si rompe, l’uomo sbaglia e questo si ripete anche nella relazione con l’altro che non è più il fratello da amare, ma semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere».


Dio pone la seconda domanda: «Caino, dov’è tuo fratello?». Commenta così papa Francesco: «Il sogno di essere potente, di essere grande come Dio, anzi di essere Dio, porta aduna catena di sbagli che è catena di morte, porta a versare il sangue del fratello! Queste due domande di Dio risuonano anche oggi, con tutta la loro forza! Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito».


Il papa ha poi presentato la terza domanda – «Dov’è tuo fratello?» – che è rivolta a ciascuno di noi. «Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po’ di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, non trovano accoglienza, non trovano solidarietà!».


Con tono accorato e sguardo commosso, papa Francesco ci ha fatto capire che oggi nessuno nel mondo si sente responsabile di questo male, come altresì della tratta degli schiavi, del fatto che migliaia e migliaia di immigrati sono diventati dei rifiuti umani e vivono ai margini delle nostre città e regioni. «Abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci tranquillizziamo, ci sentiamo a posto. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza! Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!». Ritorna – ha aggiunto il papa – la figura dell’Innominato di Manzoni. «La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto.


Il papa ha posto una terza domanda: «Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?»; «chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del “patire con”: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere […]! Domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada a drammi come questo».


Possiamo vincere l’indifferenza solamente con l’Amore, con il dono di sé per gli altri. Perché se la fede fa camminare – e ci permette di ascoltare la voce di Dio e di abbandonarci alla sua volontà –, l’Amore ci fa uscire da noi stessi e ci rende capaci di compiere grandi gesti di solidarietà e di amicizia. È l’Amore – dono dello Spirito Santo – che ci fa vedere nell’immigrato, nell’ultimo rifugiato di turno, al di là della sua fede, del colore della sua pelle e di come si veste e parla, il volto di Dio, nonché il volto di un fratello che ha bisogno delle nostre cure e di tutto il sostegno umano, spirituale e politico di una comunità.


Questa mattina papa Francesco, a Lampedusa, certamente, non ha risolto i problemi della città, né degli immigrati. Tuttavia, ci ha dato una grande lezione di vita, di cosa significa concretamente credere e amare. A volte è indispensabile provare almeno a dare coraggio, a sostenere chi è nel bisogno, pur sapendo di non poter risolvere tanti problemi di ordine politico o di natura sociale. Ognuno di noi, in quanto cristiano, deve provare a compatire, a condividere con gli altri sofferenze e solitudine, emarginazione e povertà. Spesso capita che chi è nel dolore, chi soffre veramente, nel corpo e nello spirito, o anche chi attraversa una condizione sociale difficilissima, sente il bisogno di raccontarsi e di trovare qualcuno che semplicemente ascolti il proprio grido e condivida con le lacrime la passione della vita. Già, anche questo ha chiesto papa Francesco per vincere l’indifferenza e l’egoismo che albergano dentro di noi: il dono delle lacrime, la capacità cioè di saper compatire con l’altro, come ha fatto Gesù con il buon ladrone!