Il Linguaggio di Francesco d'Assisi

di Marco Iuffrida

Nel raccontare i fatti e la vita di Francesco i biografi del Santo insistono sull’utilizzo d’una terminologia volta ad annullare gli antagonismi di una società basata sul potere, sulla forza delle relazioni familiari, dove le ineguaglianze sono dettate dalla sessualità oltre che dalla ricchezza. Non solo nel Medioevo, ma anche oggi tutti sanno che il potere “sovrano” sta ad indicare il dominio che alcuni individui esercitano ponendosi in una condizione superiore rispetto ad altri: superanus è infatti un termine latino che indica la condizione di chi si trova al di sopra degli uomini e delle cose. Sono parole come questa che vengono osteggiate dallo stile comunicativo francescano. Come ha evidenziato Jacques Le Goff nel suo San Francesco d’Assisi (Laterza, Roma-Bari 2000), dalle fonti storiche relative al Santo emerge una grande diffidenza verso espressioni che implicano il predominio o che presuppongono uno stato d’inferiorità di talune persone. Così gli avversari lessicali di Francesco sono definizioni che non ci s’aspetterebbe come maestro e magnate ma anche superiore e priore. Mentre diventano positive e dirette antagoniste di quelle le parole come suddito o minore e chiaramente fratello e fraternità. Il modello monacale è per Francesco e i suoi fratres lo schema ideale per una comunità cittadina in miniatura fondata su uguaglianza e umiltà potenziali, un microcosmo che non sia troppo laico o troppo ecclesiastico. Il suo sogno trovò non pochi oppositori, ma la rivoluzione di rinnovamento sociale che ne scaturì fu tale da rendere il glossario francescano la voce dell’uguaglianza e al contempo il più destabilizzante linguaggio di sovversione che le gerarchie del tempo potevano aspettarsi da un simplicissimus giullare di Dio.