Francesco e Francesco

di Franco Cardini

Ora, a qualche mese di distanza, possiamo dirlo. Siamo stati testimoni di eventi, nella Chiesa e nel mondo, del tutto eccezionali. Una crisi con ben pochi precedenti della medesima entità scuote la Chiesa di Roma – dalle faccende dello IOR a quelle dei casi di pedofilia – proprio mentre il mondo intero entra in crisi. Al tempo stesso, si ha l’impressione che l’intero mondo civile entri in uno stato insostenibile: segnali di una nuova “guerra fredda” tra blocco “occidentale” e nuovo asse che da Mosca va a Teheran e giunge a sfiorare Pechino; crisi sul confine eurasiatico, da quella georgiano-osseta del 2008 a quella crimeo-ucraina del 2014; riacutizzarsi del conflitto israelo-palestinese; fitnasunnito-sciita, evidente dal Libano alla Siria all’Iraq.E, soprattutto – forse all’origine di tutto -, un mondo segnato da immense sperequazioni, dove il principale motivo di scandalo è il concentrarsi del 90% della ricchezza in meno del 10% della popolazione mondiale mentre cresce il numero di chi vive sotto la soglia della sopravvivenza e della dignità.

Questo è il contesto nel quale papa Benedetto XVI ha “abdicato”, al termine di un concistoro drammatico; questo il contesto nel quale, rapidamente e quindi con un consenso raggiunto all’interno del conclave che ha stupito gli osservatori più esperti e quindi più coscienti delle divisioni che oggi segnano il vertice della Chiesa, è stato eletto papa un vescovo proveniente “dalla fine del mondo”, il cardinal primate di un paese devastato dalla memoria della guerra civile e della dittatura militare, dalla discordia interna, dalla crisi economica, dal montare delle sètte protestanti.

Ma le sorprese non sono finite qui. L’eletto, il cardinal Bergoglio, è membro della Compagnia di Gesù: un evento straordinario in una Chiesa nella quale era proverbiale il fatto che mai un gesuita avrebbe asceso i gradini del soglio di Pietro. E un gesuita che assume il nome di Francesco, in evidente omaggio del santo di Assisi, mentre è noto che tra l’Ordine minoritico e Compagnia di Gesù non ci sono mai stati né identità di vedute né tradizioni di buon vicinato. Ma proprio epr questo l’assunzione di un nome del genere da parte di un papa così non può non essere stata né casuale né esplicitamente provocatorio. La prima ipotesi dovrebbe sottintendere una straordinaria leggerezza; la seconda un’intollerabile e implacabile sfida. Il cardinal Bergoglio era noto, come del resto papa Ratzinger, per non essere affatto un “progressista”. La sua elezione, d’altronde, significava che i padri del Sacro Collegio ocnfidavano nella sua saggezza e nella sua energia per guidare la Chiesa in una crisi forse senza precedenti. Il punto è che il simbolo scelto dal nuovo pontefice per risanare e rinnovare la Chiesa sta racchiuso in un nome che è un programma: Francesco. Ma programma di che?

Francesco d’Assisi fu protagonista di una precisa proposta cristiana: l’imitazione del Cristo povero e nudo sulla croce. Perciò egli respinse ogni forma di potenza e di potere: e la povertà fu il segno di tale rifiuto, paradossale in un XIII secolo che fu quello dell’apice della ricchezza raggiunta dall’Occidente e simbolo della quale fu il fiorino d’oro, La testimonianza di Francesco fu un “segno di contraddizione” rispetto al suo tempo, eppure la chiesa ne fu salvata in quanto si dimostrò – contro al violenta propaganda ereticale – che anche al suo interno di poteva vivere poveramente. Al tempo stesso l’Occidente prosperò proprio grazie a quella ricchezza che Francesco aveva rifiutato: e fu proprio l’Ordine minoritico che, con personaggi come Bernardino da Siena, ne legittimò dal punto di vista religioso l’uso. Contraddizione?

Per nulla. Francesco non era Lenin. Egli non condannava la ricchezza né pretendeva che i privati se ne spogliassero: si limitava a respingerla per quanto riguardava lui e i suoi diretti seguaci in quanto ostacolo al loro cammino d’imitazione della povertà del Cristo. Ma si era nel XIII secolo, all’inizio della Modernità: la ricchezza, per quanto importante, non era ancora valore né primario né totalizzante. E il papato, se aspirava all’egemonia sulla società cristiana del tempo, non poteva dal canto suo ignorare quello strumento.

Oggi, giunti alla fine di quel cammino della Modernità che è stato itinerario verso la liberazione dell’individuo e il primato dell’economia, appare viceversa palese che il danaro, selvaggiamente desiderato e ingiustamente distrìbuito, è divenuto una prigione all’interno della quale il genere umano si dibatte senza speranza alcuna. Al tempo di Francesco, quando la ricchezza era solo una componente della vita sociale e la Chiesa ne appariva la suprema garante e inquadratrice, il personale rifiuto di Francesco poteva armonizzarsi con altre e differenti strade. Oggi, la ricchezza associata all’ingiustizia domina un mondo nel quale la Chiesanon è più egemone. Papa Francesco può e deve quindi denunziare la pericolosità e la disumanità di quello strumento, divenuto tirannico. La Chiesa del XIII secolo poteva essere dei ricchi e e dei poveri, nella carità e nella solidarietà. La società del XXI secolo, nella quale la Chiesa è emarginata mentre carità e solidarietà sono venute meno, ha bisogno di stare soltanto dalla parte die popoli. Ma il peso dei compromessi accettati nei secoli è enorme, quello della complessità della società presente più pesante ancora. Questo è il compito immane che aspetta questo prete argentino d’origine italiana che non solo ha eprsonalmente scelto gli “ultimi”, ma che si è impegnato a schierare tutta la Chiesa di Roma al loro fianco. Gradualmente, senza dubbio: eppure, senza se e senza ma.