cultura

San Francesco visto da luiFRANCESCO E GLI ALTRI

Franco Cardini
Pubblicato il 30-11--0001

Non s’insisterà mai abbastanza sul fatto che l’eccessiva e generalizzata simpatìa con la quale è accolta la figura di Francesco nel mondo odierno si basa su una serie di gravi, spesso divertenti e più spesso allarmanti equivoci. È a non dir altro ridicolo se non scandaloso che una lettura decristianizzata e immanentizzata dell’alter Christus possa aver avuto successo non solo tra ecologisti di vario genere ma addirittura negli ambienti teosofico- consumistici del new agee degli sprovveduti che prendono sul serio i libri di Paulo Coelho.

Di natura diversa, e molto più interessante, sono il successo e la fortuna di Francesco in ambienti seri e qualificati non-cattolici e addirittura non-cristiani. A quei livelli, certo, l’equivoco permane: non si può capire Francesco fraintendendo sulla sostanza e sulla natura del Cristo (non soltanto sul suo “modello” esistenziale); non si può interpretarlo prescindendo dal carattere concretamente storico della sua umiltà, della sua carità, della sua obbedienza, quindi dalla fedeltà profonda alla Chiesa romana.

È tuttavia importante approfondire la nostra conoscenza del “Francesco degli altri”. Ai cristiani “riformati” (i protestanti) interessa quello che essi interpretano come il suo sforzo di riallacciarsi direttamente al modello del Cristo povero e crocifisso, mettendo da parte la mediazione ecclesiale. Nella tradizione ortodossa, specie greca e russa, ha un grande rilievo la dimensione mistico-ascetica di Francesco quale espressione di “santa follìa” analoga a quella dei sàloi, dei “pazzi di Dio”. Gli ebrei valorizzano la devozione del Povero d’Assisi nei confronti del Nome di Dio al punto da chiedersi – ed è questione tutt’altro che arbitraria – se, e in che modo, egli potesse aver cognizione del culto ebraico per ha-Shem, il “Nome” divino appunto, e delle singole lettere che compongono il Tetragramma. I musulmani, fondandosi sull’episodio della visita di Francesco al sultano d’Egitto, insistono sulla sua apertura nei confronti dell’Islam e sull’analogia tra la sua spiritualità e quella che emerge per esempio dalla cultura delle scuole sufiche. Le varie scuole e tradizioni buddhiste valorizzano tutte, in modo diverso tra loro, quella che esse avvertono come la sua volontà – già presente nel modello paolino – di annullare la sua individualità per vivere col Cristo e nel Cristo, il che viene ovviamente posto in rapporto con la dottrina della progressiva “liberazione” dalla materia, con il Bodhi, il “Risveglio”, e pertanto la tensione verso il Nirvana. Ragioni analoghe presiedono all’interesse per Francesco delle molte, diverse componenti del complesso mondo induistico, che gli occidentali ritengono – con superficialità e leggerezza – un “politeismo idolatra” o un “panteismo” in quanto ignorano (o fraintendono, o sottovalutano) la profondità del concetto di Brahman come “Realtà suprema” e “Respiro dell’universo”. Ciò spiega l’attenzione nei confronti della spiritualità francescana da parte di celebri studiosi indù, ben noti anche da noi, come AnandaKoomaraswami. E spiega la profonda devozione per Francesco dimostrata da unodegli spiriti più alti dell’intera storia del genere umano, il Mahatma Gandhi.

Questa simpatia, quest’attenzione, riposano senza dubbio su distorsioni ed equivoci molto gravi: Francesco è obiettivamente lontano da quel che immaginano e propongono protestanti e ortodossi, musulmani e induisti. Nondimeno, la natura stessa di quei fraintendimenti dimostra come la figura e la testimonianza del Povero d’Assisi possano in effetti costituire un formidabile strumento di confronto e dunque di “dialogo” fra culture e tradizioni diverse. Diverse, ma non estranee: in quanto appartenenti tutte ai differenti linguaggi secondo i quali Dio (pur riservando alla famiglia abramitica il privilegio della Rivelazione diretta) ha parlato al genere umano fino dall’alba dei tempi che lo ha visto comparire sulla terra.

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