fede

Papa Francesco: Gesù non ci chiede di formare un gruppo di élite. Preghiamo per quelli con i quali siamo arrabbiati

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Udienza generale del mercoledì in piazza San Pietro: papa Francesco prosegue il ciclo di catechesi sul mistero della Chiesa e torna per la seconda volta al Concilio Vaticano II. Dopo aver parlato, lo scorso 29 maggio, della Chiesa come “famiglia di Dio”, oggi illustra il concetto di “popolo” di Dio. “Che cosa vuol dire?”, chiede. “Anzitutto – dice - vuol dire che Dio non appartiene in modo proprio ad alcun popolo, perché è Lui che ci chiama, ci convoca, ci invita a fare parte del suo popolo”. E’ l’insegnamento di San Paolo nella lettera ai Galati (3, 27-29) proclamata oggi in piazza: “non c'è Giudeo né Greco; non c'è schiavo né libero; non c'è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”.


L’invito ad essere popolo di Dio ha una portata universale, è “rivolto a tutti, senza distinzioni, perché la misericordia di Dio vuole la salvezza per tutti”. E’ un monito per i credenti, “Gesù non dice – spiega il papa - agli apostoli e a noi di formare un gruppo esclusivo, un gruppo di élite: Gesù dice andate e fate discepoli tutti i popoli”, ed una mano protesa “a chi si sente lontano da Dio e dalla Chiesa, a chi è timoroso o indifferente, a chi pensa di non poter più cambiare”. A questo “tu” che si sente lontano da Dio, papa Francesco si rivolge personalmente: “Il Signore chiama anche te a far parte del suo popolo, e lo fa con grande rispetto e amore. Lui ci invita a fare parte di questo popolo, popolo di Dio”.


Come si diventa membri di questo popolo? Non occorre una nascita fisica ma “una nuova nascita”, attraverso il Battesimo e la fede in Cristo. E’ poi “la legge dell’amore, amore a Dio e amore al prossimo”, dice il papa, che fa crescere il popolo di quelli venuti alla fede. Un amore che non è “sterile sentimentalismo” e verso cui – puntualizza Francesco – occorre fare un cammino “per vivere in concreto questa legge”, oltre le rivalità, le incomprensioni, gli egoismi.


Di qui, a braccio, Francesco apre uno squarcio lucidissimo sulle divisioni che feriscono il popolo di Dio, le definisce vere e proprie guerre: “Quando noi guardiamo sui giornali o sulla tv tante guerre fra cristiani: ma come può capitare questo? Dentro il popolo di Dio, quante guerre! Nei quartieri, nei posti di lavoro, quante guerre per invidie, gelosie! Anche nella stessa famiglia, quante guerre interne! Noi dobbiamo chiedere al Signore che ci faccia capire bene questa legge dell’amore! Che buono, che bello è amarci l’un l’altro come fratelli veri!” E prosegue, chiedendo un impegno immediato: “Facciamo una cosa oggi: forse tutti abbiamo simpatie e non simpatie, e forse tanti di noi siamo un po’ arrabbiati con qualcuno. Almeno diciamo al Signore: “Signore, io sono arrabbiato con questo e con questa, io ti prego per lui e per lei. Ti prego!” Pregare per quelli con i quali siamo arrabbiati. E’ un bel passo in questa legge dell’amore. Lo facciamo? Facciamo oggi, eh? Oggi!”


Poi, la missione del popolo di Dio: “quella di portare nel mondo la speranza e la salvezza di Dio”, essere sale “che dà il sapore, che preserva dalla corruzione”. “Attorno a noi - basta aprire un giornale, l’ho detto - vediamo che la presenza del male c’è, il diavolo agisce. Ma vorrei dire a voce alta: Dio è più forte!” E fa unire a lui tutta la Piazza in un grido: “Dio è più forte!” Così, “la realtà a volte buia, segnata dal male, può cambiare”, se il cristiano porta per primo, con la sua vita, la luce del Vangelo. E’ come – dice - quando in una notte buia allo stadio – l’Olimpico a Roma o il San Lorenzo a Buenos Aires – una sola luce accesa si intravvede appena, mentre le luci accese da ciascuno degli oltre settantamila spettatori illuminano tutto lo stadio.


Da ultimo, il fine di questo popolo: “è il Regno di Dio – dice Francesco - iniziato sulla terra da Dio stesso e che deve essere ampliato fino al compimento”. E ritorna un appello caro al Papa, quello ad una Chiesa accogliente, aperta e missionaria: “La Chiesa – chiede - sia il luogo della misericordia e della speranza di Dio, dove ognuno possa sentirsi accolto, amato, perdonato, incoraggiato a vivere secondo la vita buona del Vangelo. E per sentirsi accolto, amato, perdonato, incoraggiato la Chiesa deve essere con le porte aperte, perché tutti possano venire. E noi dobbiamo uscire da quelle porte ad annunziare il Vangelo”.


Al termine dell’udienza, nei saluti nelle lingue nazionali, papa Francesco ha poi ricordati i bambini vittime del lavoro minorile. Una “piaga”, questa, che – denuncia il papa - nega ai bambini il diritto a vivere “in un contesto armonico, di serenità”. “Questa gente invece di farli giocare, li fa schiavi". E aggiunge: "è un loro diritto e un nostro dovere” garantire ai bambini una fanciullezza serena. “Guai – ha concluso - a chi soffoca in loro lo slancio gioioso della speranza”. Inviata Roberta Leone

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