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Quale sarà il futuro della Chiesa a Shangai?

Redazione
Pubblicato il 30-11--0001

Si svolgeranno sabato le esequie del gesuita Giuseppe Fan Zhongliang, il 96enne vescovo di Shanghai morto domenica scorsa nell’appartamento dove da decenni viveva in regime di libertà vigilata. Il governo non aveva mai riconosciuto la sua elezione episcopale, avvenuta nel lontano 1985 in maniera clandestina, ma con il consenso della Santa Sede. Per questo i funzionari dell’apparato cinese dopo la morte hanno dapprima provveduto a sequestrare la berretta viola del vescovo, segno esteriore della sua dignità episcopale, per poi restituirla davanti alle richieste insistenti degli amici di Fan. Al funerale del vescovo (che dovrebbe essere celebrato presso la Yishan Funeral Home di Shanghai dal sacerdote Giuseppe Zhu Yude, suo amico e collaboratore con funzioni di vicario) è prevista la partecipazione di almeno duemila fedeli.

Da almeno tre lustri Fan, colpito dal morbo d’Alzheimer, trascorreva i suoi giorni senza memoria nell'appartamento dove era stato alloggiato in stato di semi-libertà. Ma agli occhi della Santa Sede era lui a mantenere la carica di vescovo ordinario titolare della diocesi di Shanghai. Il suo confratello gesuita Aloysius Jin Luxian, ordinato anche lui vescovo della stessa città nel 1985 con il placet del governo ma senza il mandato apostolico, aveva visto la sua ordinazione episcopale legittimata dalla Santa Sede solo nel 2004, ma per sistemare le cose dal punto di vista canonico gli era stato riconosciuto il titolo di “vescovo coadiutore”.

Jin è morto da quasi un anno. Ora, con la scomparsa di Fan, diventa inevitabile sia per la Cina popolare che per la Santa Sede affrontare e sciogliere anche il complicato garbuglio canonico e pastorale che affligge la più importante diocesi cattolica cinese da quasi due anni. Cioè da quando il vescovo ausiliare Thaddeus Ma Daqin, destinato nelle intenzioni a succedere sia a Fan che a Jin – sanando così a livello canonico le divisioni tra la comunità cattolica “aperta” e quella underground - è stato punito dal Collegio dei vescovi cinesi (organismo orientato dal potere civile e non riconosciuto dalla Santa Sede) con il ritiro dell’autorizzazione a svolgere il ministero episcopale e una sospensione di due anni dal pubblico esercizio del sacerdozio. Il motivo: nel giorno della sua ordinazione, il vescovo Ma Daqin aveva usato espressioni suonate come una marcata e complessiva presa di distanze nell'Associazione patriottica dei cattolici cinesi (lo strumento con cui gli apparati cinesi pretendono di guidare la Chiesa “dall'interno”).

Nelle vite parallele dei gesuiti Jin e Fan – terminate a pochi mesi di distanza l'una dall'altra - e nell'impasse attualmente vissuta dalla diocesi di Shanghai si ritrovano tutti i travagli e le piaghe che affannano e feriscono la vita della Chiesa nell'ex “Celeste Impero”. Quelli di lungo corso, connessi con la politica religiosa imposta dal potere civile. Ma anche quelli più recenti, collegati in parte ai clericalismi “sui generis” che sfigurano il volto della Chiesa anche di là dalla Grande Muraglia.

A Shanghai, negli anni Cinquanta del secolo scorso, l’iniziale strategia maoista per separare la Chiesa cinese dalla comunione visibile col successore di Pietro aveva messo a segno una delle operazioni più plateali. In un rastrellamento iniziato la notte dell’8 settembre ’55 furono imprigionate più di quattrocento persone, compresi il vescovo Ignatius Gong Pinmei, tutti i preti suoi collaboratori più stretti, e quasi tutti i laici iscritti alla Legione di Maria, accusata come gruppo paramilitare al soldo delle potenze capitaliste. Tra gli arrestati c'erano anche i due giovani amici Aloysius Jin e Giuseppe Fan, Compagni di Gesù come Papa Francesco. Il loro vescovo si fidava di entrambi i gesuiti: il primo lo aveva fatto rettore del seminario maggiore, al secondo aveva dato in cura quello minore. Passati gli anni terribili della Rivoluzione culturale, dopo quasi cinque lustri di prigione e di confino, anche Jin e Fan erano stati liberati, come capitava nei primi anni Ottanta a migliaia di sacerdoti, religiosi e fedeli: la Cina di Deng Xiaoping riapriva le chiese, invitava preti, suore e vescovi a riprendere ognuno il proprio lavoro, sia pur in regime di stretta sorveglianza politica.

A quel punto le strade si erano divise. Jin aveva accettato di diventare rettore del seminario, nell’85 era stato ordinato vescovo ausiliare di Shanghai, con il permesso del governo di Pechino ma senza quello del Papa, e nell’88 aveva assunto addirittura la guida della diocesi, mentre il vecchio Gong Pinmei, legittimo titolare della sede episcopale, rimaneva in regime di libertà vigilata (a maggio di quell’anno sarebbe iniziato il suo esilio nel Connecticut).

Fan, invece, rifiutò ogni collaborazione con gli organismi “patriottici” che il regime imponeva come strumenti di controllo della vita della Chiesa. Nell’85 anche lui era stato ordinato vescovo clandestinamente, e il Vaticano lo aveva riconosciuto come unico legittimo successore di Gong Pinmei, scomparso nel 2000.Vetican Inseder

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