francescanesimo

Pasqua è un Dio d'amore di Elvio Lunghi

Elvio Lunghi Archivio Fotografico Sacro Convento di Assisi - Pa
Pubblicato il 13-04-2017

Francesco esortava i suoi frati di cantare le parole di questo cantico

Cosa voleva dire Francesco quando parlava della luna, delle stelle? "Laudato si', mi' Signore, per sora luna e le stelle, in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle". Quando parlava del sole? Quando parlava "per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba". Quando parlava del vento, quando parlava dell'acqua? "Laudato si', mi' Signore, per sor'aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta". Cosa voleva dire quando parlava del fuoco? "Laudato si', mi' Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è bello et iocundo et robustoso et forte". Cosa volle dire Francesco quando accompagnò una melodia a questi versi e mandò i suoi frati per il mondo, chiedendo loro di cantare forte e chiaro "Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so' le laude, la gloria e honore et onne benedictione"? E che cosa vuole da noi questo Dio? Rispondi amore. AMORE. Come Totò agli uccelli in Uccellacci e uccellini di Pier Paolo Pasolini.


  Francesco esortava i suoi frati di cantare le parole di questo cantico. È fra Leone, il compagno più vicino, a indicarci le più diverse situazioni: come preghiera individuale, come inno di lode compreso nella liturgia delle ore, come jingle destinato a richiamare l’attenzione delle folle, come titolo di coda per confondere con la follia del giullare la sapienza dei predicatori, come strumento di pace. C’è poi una sesta situazione, che investe il canto delle lodi a due voci tra i frati e la popolazione di un villaggio. Proviamo a immaginare come. Un gruppo di frati sta cantando all'esterno di una chiesetta davanti a una piccola folla. È primavera. I prati circostanti esplodono di fiori, di primule, di viole, di api e calabroni. Ed ecco che arriva Francesco, insieme a una dama dall'aspetto spoglio e disadorno. La dama è la Povertà. Vuole vedere dove i frati vivono e cosa mangiano. Li trova così allegri e giocondi, stracolmi di gioia. Prima di tutto, però, i frati la invitano a mensa. Le mostrano un secchio con un po' d'acqua per lavarsi le mani. Le danno un camicia per asciugarsi. Dividono con lei pochi panetti d'orzo e di crusca, un po' d'acqua da bere. Niente cibi caldi. Niente erbe cotte, né sale che dia sapore. Madonna Povertà insiste nel vedere il chiostro dei frati. Francesco l'accompagna in vetta a un colle. Indica l'orizzonte, fin dove arriva lo sguardo, e dice "Questa terra è il nostro chiostro".



Naturalmente non è fra Leone a raccontarci questa storia, ma è l'autore ignoto di un aureo libretto che ha per titolo Sacrum Commercium sancti Francisci cum domina Paupertate. Ha l'apparenza di una fiaba, ma ricorda singolarmente un'altra fiaba che descrive la meravigliosa origine del Perdono di Assisi. Quest'ultima fu scritta da un laico, un certo Michele da Spello, nei primi anni del Trecento e racconta l'origine del Perdono accentuando gli episodi fantastici  e colmi di riferimenti simbolici. È una sorta di sogno allegorico, alla maniera del Roman de la Rose, della Commedia dantesca, dei Fioretti di san Francesco. Eppure sarà destinato a diventare il modello ufficiale per le rappresentazioni pittoriche del Perdono di Assisi che troviamo alla Porziuncola, prendendo il posto dei resoconti ufficiali scritti da vescovi e ministri provinciali. Queste stesse caratteristiche compaiono nel Sacrum Commercium, dove si racconta il viaggio che Francesco compì alla ricerca della povertà. La troverà in vetta a un monte, dove si era rifugiata dopo essere stata schifata da tutti: ricchi e poveri, nobili e popolani. Solo Cristo l'aveva voluta accanto a sé sul legno della Croce, e è ora Francesco a chiederla in sposa.


  Oggi questo racconto potrebbe interessare al massimo gli studiosi di mistica francescana, che si contano sulle punte delle dita di una mano. Se non fosse che dal Sacrum Commercium trasse ispirazione Giotto per dipingere gli affreschi sopra la tomba di san Francesco. Le immagini che tutti vedono nel visitare la basilica di Assisi. Dove Francesco aspetta la sua resurrezione, sapendo dalle parole dell'Apostolo che "Se Cristo non è risorto, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede" (1 Cor. 14). Sulle vele della crociera è dipinto Francesco che sposa Madonna Povertà, con Gesù Cristo che celebra le nozze, la Fede e la Carità che fanno da testimoni, moltissimi angeli da invitati. Mentre due uomini piccoli schifano la Povertà gettandole pietre e accostandole rovi, nobili e ricchi mercanti sono pregati di allontarsi, un povero è accolto e rivestito. Pasqua è un Dio d'amore.

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