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lntervento del Sen. Maurizio Gasparri, Capogruppo del PDL al Senato

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001



L'idea di associare le tradizionali celebrazioni di San Francesco d'Assisi a quelle dedicateai 150 anni dell'unità d'Italia rappresenta qualcosa di più profondo del già rilevante riconoscimento del fatto che San Francesco è il “patrono” d'Italia, tale proclamato da Papa Pio XII nel 1939.

Perché questa qualifica che si aggiunge ai tanti riconoscimenti, innanzitutto morali e poi storici, che si devono a questo Santo e alla sua opera, sta ad indicare quanto sia forte il legame fra la nozione d'italianità, fra l'essere Italia, con la figura e la lezione di Francesco d'Assisi. Dunque, nel qualificarlo patrono d'Italia c'è il rinvenimento di un senso storico e filosofico del legame fra il Santo di Assisi e l'Italia.
Se è vero che l'arte è lo specchio di un popolo, basta uno sguardo anche superficiale per constatare quanta grandezza artistica la figura del Santo abbia ispirato nel corso della storia dell'arte italiana. Ci sono figure dalle quali la storia d'Italia non può prescindere. E non soltanto quelle decisive che hanno fatto il Risorgimento, come Cavour, Mazzini, Garibaldi. Ma soprattutto quelle figure morali che hanno contribuito a creare lo spirito italiano, a cominciare da San Francesco d'Assisi e Dante Alighieri. Il filosofo Augusto Del Noce, riprendendo la lezione di Giovanni Gentile, ricorda come San Francesco d'Assisi e Dante vadano accomunati. «Dante è il teorico del rinnovamento della civiltà attraverso il rinnovamento della Chiesa», scrive Augusto Del Noce – e in questo si associa a Francesco d'Assisi.

Le prime due opere di Giovanni Gentile, due saggi giovanili che mostrano già una grande struttura filosofica, sono non a caso, “Rosmini e Gioberti” e “La filosofia di Marx” (1898), dove il filosofo siciliano attraverso la critica all'ateismo marxista ribadisce che lo spirito di un popolo non può essere scisso dalla sua religiosità.

Il 29 e il 30 maggio 1254 con la bolla “Licet ex omnibus” Innocenzo IV di fatto sancì l'inserimento dell'Ordine francescano nella struttura della Chiesa di Roma. Se si pensa che intorno al 1280 l'Ordine dei minori disponesse già di 20.000 membri destinati a salire a 30.000 nei primi decenni del Trecento, molti dei quali forti ed efficaci predicatori si ha la consapevolezza del peso della parola francescana nella formazione della cultura e della coscienza religiosa italiana. L'opera di Francesco d'Assisi si afferma in una stagione di profonda crisi morale che attraversa tutta l'Europa e colpisce il cristianesimo. Ma è anche l'epoca in cui si avvia l'età comunale, a cui lo storico Gioacchino Volpe fa risalire per certi versi la formazione dello spirito italiano. Cosa sarebbe stata l'Italia? – È lecito domandarsi – Senza San Francesco, i francescani e i loro conventi, sparsi nel nostro territorio. Quale è stato in termini quantitativi e qualitativi il loro contributo alla formazione della coscienza italiana.

La sacralità dell'uomo, il riconoscimento dell'individuo e del suo legame con Dio, sono valori propri dello spirito italiano a cui San Francesco dette un contributo determinante. Quindi, la religione come fattore di coesione sociale e soprattutto elemento ineliminabile dell'idem sentire comune di una nazione. In questa accezione la storia della spiritualità italiana non può prescindere dall'influenza della parola e dell'insegnamento del Santo.

L'Enciclopedia Treccani definisce il sostantivo Patria come «il territorio abitato da un popolo e al quale ciascuno dei suoi componenti sente di appartenere per nascita, lingua, cultura, storia e tradizioni». L'origine della parola è latina e rimanda a patrius «paterno», dunque, con un richiamo esteso alla famiglia, alla tribù, agli antenati accezione che si arricchisce perché per i latini la parola Patria sottintende anche terra.Ma la famiglia, il patrius è anche e soprattutto la religiosità di una comunità. Giovanni Papini, uno dei più straordinari interpreti della cultura italiana del Novecento, volle che la figura di San Francesco lo accompagnasse nella sua conversione, nei giorni che precedettero la sua morte si ostinò nel chiedere che gli venissero lette le pagine del Santo di Assisi.
Giovanni Gentile, invece, volle che un profilo di San Francesco fosse inserito nell'edizione del “Pensiero italiano del Rinascimento” datando al fondatore dell'Ordine francescano e poi a Petrarca l'inizio dell'era dell'individuo. E sempre Gentile data alla figura di San Francesco i primi germi della modernità destinata a superare il Medioevo. L'ascetismo francescano – secondo il filosofo di Castelvetrano – è un contributo fondamentale al progresso della “mente italiana”. Gioacchino Volpe, riconosciuto come uno dei più importanti storici del Novecento, in due sue opere, “Origine e primo svolgimento dell'Italia longobarda” e “L'Italia in cammino”, espone la tesi secondo cui l'identità italiana non è nata con l'atto giuridico di nascita dello Stato unitario ma lo precede di alcuni secoli configurandosi come spirito italiano pre-politico e linguistico che affonda le radici nella romanità e nel Medioevo.

Quindi, l'unità d'Italia è prima di tuttounadimensione linguistica e culturale, quindi spirituale prima ancora che politica e statuale. Augusto Del Noce coniò il termine “transpolitico” nel senso di una dimensione profonda che sedimenta nella coscienza di una nazione e determina i tratti di un popolo. La religiosità con i suoi santi è uno di questi tratti. Dicevamo del legame fra San Francesco e Dante Alighieri, il “fondatore”, in un certo senso, dell'unità linguistica italiana. Al Santo d'Italia, il Poeta d'Italia dedica non pochi versi: nel Canto XI del Paradiso, Dante è nel cerchio degli spiriti sapienti dove Tommaso d'Aquino proferisce l'elogio di Francesco, carico di suggestioni.
Lo storico polacco Ernst Kantorowicz, forse il maggiore studioso di Federico II collega l'imperatore a Francesco come figure più rilevanti per l'influenza esercitata sull'Europa e l'Italia del loro tempo. Prima di affermare la sua parola, San Francesco dovette strenuamente lottare contro l'ipocrisia e la diffidenza dei contemporanei. L'Italia sarà fatta sempre di grandi visioni incomprese. Scrive Machiavelli: «Così capita spesso nella storia dei popoli: c'è un savio, e i mediocri lo chiamano pazzo, e si reputano savi perché mediocri. Prendono un'idea del savio e per farla propria la tagliano a metà: dimezzata la trovano della propria statura».

Nello sforzo che porta a definire i caratteri dell'identità collettiva italiana c'è certamente, Vincenzo Gioberti, il teorico del «rinnovamento civile dell'Italia» e «del Primato morale e civile degli italiani», profeta dello spiritualismo nazionale. La sua è una vicenda politico-intellettuale, riscoperta solo in anni recenti, grazie allo storico cattolico Giorgio Rumi, che mostra un intellettuale di grande statura capace di disegnare il concetto di nazione sensibile a un'ispirazione religiosa e alle sue tradizioni locali.

Lo scrittore Hermann Hesse si domandò in uno scritto giovanile perché la figura di San Francesco avesse influenzato così profondamente e per un tempo così lungo uomini e donne d'Italia. Questa la sua risposta:
«Soltanto pochi (come Francesco), in virtù della profondità e dell'ardore del loro intimo, hanno donato ai popoli, quali messaggeri e seminatori divini, parole e pensieri di eternità e dell'antichissimo anelito umano... sì che quali astri beati si librano ancora sopra di noi nel puro firmamento, dorati e sorridenti, benevole guide al peregrinare degli uomini nelle tenebre».

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