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Intervento del Card. Angelo Scola, Patriarca di Venezia

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001



Dopo aver ascoltato dal Crocifisso di San Damiano l'invito a riparare la sua casa in rovina, Francesco, dice il biografo, volle offrire “denaro a un sacerdote perché provvedesse una lampada e l'olio, e la sacra immagine non rimanesse priva, neppure per un istante, dell'onore di un lume” (Tommaso da Celano Vita seconda di San Francesco, 10). Ogni anno una regione d'Italia si mobilita verso Assisi per rinnovare con l'accensione della lampada quel suo delicato gesto di amore e di gratitudine. Ma cosa c'è dietro questo gesto che ci coinvolge tutti, più o meno consapevolmente? Il desiderio di noi, cittadini italiani, di guardare a Francesco come al nostro “padre e maestro”, come lo defi nisce Dante (Paradiso, XI, v. 85). L'accensione della lampada è un fatto corale, religioso e civile che vuol porre con forza un segno di solidità nel travaglio provocato dalle rapide trasformazioni in atto anche nella nostra Italia. Tutti i “fondamentali” che hanno per secoli regolato l'umana convivenza sono oggi messi in questione. È un dato di fatto. Penso al signifi cato del vero, del buono, del bello, al senso della vita e della morte, del matrimonio, della famiglia, dell'identità religiosa e culturale di una nazione, del rapporto con l'ambiente, della costruzione di un solido e durevole equilibrio tra pace, sviluppo e giustizia... Eppure la nostra è un'epoca piena di fascino. È, soprattutto, quella in cui Dio che è Padre ci chiama a vivere. Ma a vivere come? Ce lo dice Francesco, che ancora oggi, dopo otto secoli, esercita una straordinaria attrattiva in tutto il mondo: “Sei tu, Signore, l'unico mio bene” (Salmo responsoriale, 15, 1). Questa è in Francesco la radice di tutto. La sua quotidiana esistenza fu la risposta carica di amore al Bene Unico che è Dio. Lo si vede chiaramente da come ha vissuto la sua morte. «A cerchi concentrici – ha detto Papa Benedetto nel 2007 ad Assisi – l'amore di Francesco per Gesù si dilata non solo sulla Chiesa ma su tutte le cose, viste in Cristo e per Cristo» (Benedetto XVI, Incontro con i giovani, 17 giugno 2007). Come per san Paolo, la passione per Cristo segnò Francesco fi n nella carne: “Io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo” (Gal 6,17). Ma questa passione fu nel poverello inscindibile dalla passione per l'uomo. San Francesco è come “colui che nella sua vita riparò il tempio e... premuroso di impedire la caduta del suo popolo, fortifi cò la città contro un assedio” (Sir 50, 1.4). Francesco, come la lampada che tutte le regioni italiane contribuiscono a turno a tenere viva e accesa, bruciò e si consumò di carità per Dio, per gli uomini e verso il creato lungo tutto l'arco della sua esistenza. All'invito del Crocifi sso di San Damiano – “Va' e ripara la mia chiesa” (Tommaso da Celano, Vita seconda di San Francesco, 10) – Francesco risponde con l'offerta totale delle proprie energie: “Voglio dare a Dio il prezzo del mio sudore” (ibidem). E offrì tutta la vita. Dallo stile di vita di Francesco scaturisce il metodo per l'edifi cazione non solo della Chiesa, ma, con le debite distinzioni, di tutta la società civile. Un metodo sempre costruttivo, oggi così necessario in tutti gli ambiti dell'umana esistenza.

Un metodo sempre costruttivo
Anzitutto una compassione che sa chinarsi su ogni creatura, senza orgoglio né separazione. Una compassione sempre più solidale, nella verità, con tutta la debolezza presente nel mondo e anche nella Chiesa: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati ed oppressi, ed io vi ristorerò” (Mt 11,28). Una compassione sempre più legata al destino buono della creazione che, nel travaglio e nei gemiti del parto, si va lentamente compiendo. In secondo luogo un'indomabile apertura che sa far spazio alla libertà dell'altro, ma pienamente consapevole e responsabile della propria fi sionomia, basti ricordare l'incontro con il Sultano. In terzo luogo un'instancabile azione di pace, nella coscienza chiara che la sua origine viene da Dio. L'Italia, ma il mondo intero, ha sete di questo stile di vita che fu di Francesco. Tocca a noi praticarlo, a cominciare da chi tra noi è chiamato a pubblica responsabilità nella Chiesa e nella società. Sono passati settant'anni da quel 4 ottobre 1939 in cui Pio XII proclamò san Francesco Patrono d'Italia. Allora, anche sul nostro Paese, si stavano addensando i bagliori di un tragico confl itto mondiale, ma gravido di incognite è anche il momento presente. Lo avverte ognuno di noi. E lo percepiamo tutti insieme come popolo italiano. La lampada che arde presso la tomba del Poverello, grazie al dono dell'olio che giunge di fatto da ogni cittadino italiano, è come una preghiera continua. Per tutti. Cosa chiediamo al Signore per l'intercessione di san Francesco? “Fa'o Francesco che il popolo italiano, fedele alle radici cristiane, vivendo in comunione e fraternità, concorra con l'Europa al progresso dell'umanità, per il bene e la pace di tutti”.

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