religione

L’eternità del corpo che ama

Padre Domenico Paoletti Pixabay
Pubblicato il 30-11-2020

È luogo di rivelazione del divino 

La rubrica “Corpo ed eternità”, iniziata un anno fa, ci ha visto raccogliere la sfida del corpo. Se noi  siamo il corpo che abbiamo, come richiamato quasi di continuo nelle nostre riflessioni, che ne sarà di  noi al termine della vita terrena? Che ne sarà del nostro corpo?   La fede che riconosce il corpo al centro dell’evento e della fede cristiana, e la risurrezione (fondamento,  oggetto e motivo della nostra fede cristiana) come verità del   corpo possono interessare uomini e donne di oggi, immersi in una cultura del corpo ridotto spesso solo a materia da consumare   e gettare nel nulla, o valutato (che è quasi la stessa cosa) secondo criteri puramente estetico-funzionali? O, all’opposto,  umiliato da forme di preteso “spiritualismo” - in realtà piuttosto   spiritualoidi e astratte, che in fondo significano sempre volersi   liberare del corpo, esorcizzarlo?   La rubrica ha tentato di raccogliere questa sfida attraverso   diversi passaggi di riflessione esistenziale, biblica, teologica e   filosofico-antropologica.   Ora, giunti quasi alla fine, ci si pone la domanda dell’inizio:   qual è la “cifra” del corpo, che ne chiede fortemente l’eternità   perché la contiene, la esprime e la comunica attendendola?   

La realtà profonda del corpo, che ne fa un unicum nella sua  vocazione, è l’amore. Noi siamo stati creati dall’amore che unisce due corpi, per amare con il nostro  corpo. L’unica vocazione inscritta nell’humanum è quella di amare, è la comunione. La Scrittura ci dice  che Dio si è rivelato come Amore, Trinità, comunione di persone, che ama e chiama l’essere umano a  partecipare del suo stesso amore comunionale. Il nostro corpo è segno e sacramento della vocazione  all’amore - cioè al dono, all’accoglienza e alla comunione.   Il corpo, correlato e costitutivo dell’amore, pone-dispone ed esprime la realtà dell’amore che, in quanto  tale, è eterno. Anzi l’eternità è l’essenza della verità dell’amore. Infatti solo quando amiamo veramente unicamente una persona, sperimentiamo l’amore come eternità, perché l’amore è eterno: allora anche il  corpo è eterno, perché amiamo con il corpo e mai senza il corpo.   L’amore è realtà concreta, è amore solo se si incarna. Qui si trova la chiave del nesso intrinseco e  inscindibile tra amore, eternità e corpo. Se l’esperienza dell’amore è esperienza di eternità, allora il  corpo che ama non può finire, non può totalmente dissolversi, ma in qualche modo si va trasformando  in corpo glorioso grazie all’intervento di Dio, come nella creazione.  

Non a caso la Bibbia si apre con il racconto della creazione del mondo (prima creazione) e si conclude  con la nuova creazione con i cieli nuovi e  la terra nuova (ultima creazione), ma sono   sempre i cieli e la terra di prima, che saranno   nuovi perché «allora si compirà il mistero   di Dio come egli ha annunciato» (Ap 10, 7).   L’azione escatologica di Dio, che ci è   comunicata nella rivelazione e nella fede   cristiana, è in relazione (corrisponde) con   l’esperienza antropologica della storia  umana dell’amore? Questo è l’interrogativo   che ci sfida, e tentiamo di rispondervi nella   convinzione di fede che la creazione, la   redenzione e la glorificazione sono tappe di un’unica storia di amore e di salvezza, di comunione  della stessa corporeità che si trasforma come il seme in pianta, il bruco in farfalla.  Il corpo che si fa amore vive un cambiamento a tutti i livelli. Oggi gli studi sul corpo che si fa amore  (che si innamora, che ama, che è attratto e si unisce a un altro corpo) evidenziano scientificamente  le trasformazioni biochimiche che si scatenano per esempio prima e durante l’incontro sessuale, in  un’avventura che non finisce mai di stupire.

Basti costatare la differenza tra un con-tatto con una  persona estranea (tendiamo a ritirarci) e il con-tatto con la persona amata (tendiamo ad avvicinarci  con una serie di reazioni diverse/opposte a quelle del con-tatto con una persona estranea). Il corpo  che ama vive la dinamica dell’apertura, dell’uscita da sé, dell’incontro, della trasformazione che lo  fa perdurare nel tempo in novità di vita: il corpo (Körper) diventa nel tempo e nello spazio quello  che è chiamata ad essere corporeità (Leib) eterna. Non è questa forse la vocazione del corpo? L’eros  non è forse uno slancio del corpo che cerca la sua pienezza? Fenomeno radicalmente interiore della  corporeità che in qualche modo risale una corrente, dissipa un’opacità, scioglie una servitù.  «Primario nell’uomo è lo slancio di un’energia creatrice che, trovando la propria sorgente in Dio,  suscita e rinnova costantemente l’esistenza (…). La vita chiama la vita: nati da un dono, a nostra  volta doniamo noi stessi. A tutti gli stadi dell’essere e quale che sia lo sbocco offerto, non esiste altro  peccato che il frenare l’oblazione» (J.Bastaire).  

Il corpo che si fa amore diventa pertanto luogo di rivelazione del divino, di quel Dio vivo e vero che  è “amore”, non una sostituzione di uno dei due amanti con Dio o nel reputare divinizzato l’amante:  ciò che è divino è ciò che intercorre fra gli amanti, è la loro relazione “a immagine e somiglianza di  Dio”. Questa è la vocazione del corpo dell’humanum, la persona umana è un essere corporeo che è  intrinsecamente in relazione, chiamato alla “mistica del noi”, come ci ricorda papa Francesco.  “La carne sgorga dallo Spirito» (J.Bastaire), tanto che la sessualità è il linguaggio più forte che due  esseri umani possono scambiarsi, è la “conoscenza” nel linguaggio biblico.  Ma la corporeità è fatta non solo per la relazione, anche per la trascendenza: noi siamo fatti per  uscire da noi stessi, per andare oltre noi stessi, non solo verso un “tu” simile a noi, ma anche, e  fondamentalmente, verso l’Alterità, un Tu che è al di sopra di noi perché più intimo a noi di noi stessi  (sant’Agostino) e di cui avvertiamo la mancanza. Siamo creati per Dio, per l’Assoluto/infinito che  nella visione cristiana passa per l’altro.

Quindi se amiamo siamo in Dio e Dio è in noi nella relazione accogliente e oblativa, unitiva-relazionale. «Realmente l’amore è il divino che permette al nostro  corpo di esistere» (C.M. Martini).   Il corpo che si fa amore è l’io, che non attira a sé (secondo la legge della gravità), ma si dona all’altra  persona: è la dimensione della trascendenza che conduce la corporeità “al di là”, possiamo dire che  vive in qualche modo la risurrezione nel morire a se stesso per vivere per, con e nell’altro e nell’Altro.  La relazione d’amore rende presente Dio che si rende trasparente proprio nel rapporto privilegiato  della relazione d’amore (cf M. Nédoncelle). Dio è immanente a ogni vero amore, perché Dio è amore  (ubi amor ibi Deus).   Non bisogna solo amare la persona che si ha di fronte, ma anche amare “l’amore” in comune: ossia  respirare l’eternità. Gli atti, i gesti, la tenerezza corporea sono la sostanza stessa dell’amore, senza  non c’è amore! L’amore si impara e mai si finisce di imparare.   Strano che ci siano pochi discepoli che imparano a leggere il corpo come libro dell’amore, scoprendo  che il corpo porta in sé la logica nuziale dell’eternità. 

La poesia riesce a cogliere, in qualche modo   simbolicamente allusivo, il mistero dell’amore più   di tante argomentazioni razionali che è pur sempre   necessario tentare. L’espressione performativa   «quando la mano di un uomo tocca la mano di una   donna, entrambi toccano il cuore dell’eternità» (Kahlil   Gibran) dice molto di più che una speculazione sul   corpo eterno.   La conoscenza corporea, in particolare la conoscenza   più profonda e totale dell’amore, dona di comprendere   la vita sullo sfondo di una “datità” originaria che l’abbraccia e l’invita a compiere il cammino verso la  pienezza. L’amore vero, sempre corporeo, al suo sorgere è già assoluto e infinito. Non si dice: “ti amo per  due anni”, ma semplicemente “ti amo”, e nel “ti amo” è presente come promessa il “per sempre”.  Non è possibile in realtà che due persone arrivino a dirsi sinceramente “ti amo”, senza aggiungere,  implicitamente o esplicitamente, “per sempre”. È in contraddizione con la realtà dell’amore porre  a priori qualsiasi limite temporale all’amore perché la totalità (di tutta la persona e per sempre) si  trova nella natura stessa dell’amore.   Possiamo dire che l’eternità è la temporalità propria dell’amore, perché fa perdurare oltre il tempo ciò  che si pone nel tempo. Già prevedere una possibile futura separazione significa mentire all’amore:  «la libertà amante desidera impegnare il proprio futuro per l’amato» (A. Scola). Interessante in  questa dinamica di eternità, proprio della corporeità che   si fa amore, quanto afferma Hans Urs von Balthasar: ogni amore autentico possiede in questo senso la forma   interna del votum, ossia la decisione, la volontà di una   definitiva (infinita) offerta di sé all’amato.  

La vita è un movimento perpetuo tra cambiamento e   identità, amare è tensione generativa tra la novità del  “non ancora” e il “già” conosciuto che si sta conoscendo.   L’amore è sempre nuovo perché inesauribile (eterno), la   persona amata è la stessa ed è sempre diversa: questo   movimento continuo di conoscersi e mai finire di conoscersi è la cifra stessa dell’eternità dell’amore,  eternità scritta nel corpo, luogo di rivelazione (estetica, drammatica e logica) dell’amore. Il corpo ha  la capacità di accogliere «il tutto nel frammento», per usare un’espressione tipica di Hans Urs von  Balthasar, attestando così la sua destinazione a una vita pienamente partecipativa, senza distanze e  diaframmi, vivendo la dimensione dell’universale e dell’eterno.   L’uomo, quando si pensa in termini di unità spiritual-corporea, si comprende facendo riferimento  non solo alle realtà materiali di questo mondo e alla loro finitezza, ma anche alla realtà spirituale  di Dio e alla sua eternità.

Comprendendosi così, l’uomo vede davanti a sé, come traguardo ultimo  del suo esistere la risurrezione della corporeità, perché è tutta l’unità spiritual-corporea ad essere  chiamata all’eternità, non lo spirito soltanto. Dire risurrezione non è solo dire superamento della  morte; è anche e soprattutto dire traguardo di compimento della vita in termini di comunione perfetta  con Dio e con gli altri.  Sarebbe da sviluppare la relazione tra corpo, amore, tempo, spazio ed eternità per accogliere con  maggiore consapevolezza e corrispondenza la verità cristiana della risurrezione della carne.  Nella prossima ed ultima riflessione ci concentreremo sulla risurrezione della carne, verità di fede  la cui luce illumina il mistero della corporeità. È la prospettiva della fine, del compimento che  permette di capire chi siamo e qual è il senso del nostro cammino di corporeità nel tempo. Legato  al tempo e allo spazio, il nostro corpo attesta anche il superamento dei limiti spaziotemporali nello  scoprirsi, nell’amore, chiamato ad un’apertura illimitata ed eterna.  (San Bonaventura Informa)

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