religione

Lo spazio della santità è minimo e infinito

Massimo Lippi Pixabay
Pubblicato il 02-12-2020

Come si comportano i santi, i beati, gli asceti, i mistici, gli anacoreti in rapporto all'ambiente, agli animali?

Vorrei parlare d' altro stando al centro della questione: l' arte di vivere la santità. Come si comportano i santi, i beati, gli asceti, i mistici, gli anacoreti in rapporto all' ambiente, agli animali, agli oggetti d' uso, ai fenomeni naturali che imprimono bellezza e vigore e novità quotidiana alla Creazione? Come agivano in concreto questi nostri fratelli? Molti di loro li conosciamo e li rappresentiamo coi simboli del loro martirio, la spada per san Paolo, il coltello per san Bartolomeo apostolo e san Pietro martire da Verona, santa Caterina d' Alessandria con la ruota che si stronca. Ma quando questi uomini e donne improvvisano numeri eclatanti per raggiungere il culmine della loro vocazione, cosa fanno? Allora ne inventano sì di meravigliose storie, di penitenze che oggi ci appaiono estrose, bizzarre o forse tetre o esagerate. Però è bene ricordare san Francesco che dice "ogni pena mi è diletto, tanto il bene che mi aspetto".

Prendiamo la vicenda storica del beato Giacomo da Montieri (1213-1289) per esempio. Era un bel giovane di temperamento vivace, resoluto, amante del prossimo e della giustizia, ma venne trovato colpevole di un furto nelle locali miniere d' argento. Forse era un capo della rivolta popolare, eppure il suo destino ultimo era quello di essere un santo prestato al mondo delle miniere. Ora tornava alla casa del Padre, scempiato ma risorto. Fu condannato all' infame legge del taglione. C' è da rabbrividire al solo pensiero. La mannaia cadde due volte nel suo corpo intatto, armonioso e gioviale: sulla mano destra e sul piede sinistro con feroce e barbaro accanimento. Orrenda crudeltà dei giustizieri e bestiale e insensata regola che oltraggiava la sacralità di un figlio di Dio. Per il beato Giacomo si fa ancora gran festa dopo secoli e quel suo corpo già sfigurato è ora rifiorito in Paradiso.

È la sacra leggenda che ora rispunta e ricresce e germoglia in un melo fruttuoso, reale, di cui io stesso ho mangiato i frutti. Li ho visti rotolare per le piccole vie del paese, fino alle soglie delle case, commovente presenza e benedizione del "murato vivo". Sì, perché il beato Giacomo si murò vivo! Fu chiamato cioè da una singolare conversione che era tipica di alcuni asceti. Costruì una piccola cella appoggiata al parapetto estivo della chiesa, posta in alto sopra le case ritte di Montieri, sullo scosceso pendio del monte che guarda alla nascita del sole. Qui vi trascorse le ferie tutti i giorni di sua vita. Al fresco di inverno e al caldo d' estate. Quarantasei anni filati, la meglio gioventù come offerta per la purificazione e per l' immortalità dell' anima. Chissà perché mi vengono in mente alcuni artisti dell' avanguardia odierna, sarebbe per loro una trovata mica male murarsi vivi per un tempo minuscolo davanti ai riflettori e reclamare così attenzione e successo. Lo sponsor, il gallerista, il mercante, le gitarelle fuori porta per vedere il matto che trasuda stranezze e concetti.

I santi fanno un altro mestiere: sanno di non essere santi, né si lasciano persuadere con facilità dai loro doni particolari, dai loro stenti o prove da affrontare. "Jacopino" lo capì al volo qual era il valore della sua volontaria segregazione e del suo sacrificio. Immagino così quell' arte corporale dei santi che è ormai leggendaria voce: da leggersi obbligatoriamente, da ascoltarsi e da tramandarsi come fosse acqua viva di sorgente che alimenta un rivolo turgido di frescura. Acque limpide che scendono rapide nel fiume della storia. Il beato Giacomo è mutilo e silente testimone, ora diventato un rivolo di grazie che scende rapido tra le case di Montieri e scroscia in lontananze aperte laggiù nella valle, fino al mare. Questo fanno i santi, i beati. Usano il tempo e le cose, le avventure e le disavventure per convogliarle nel solco fecondo della storia della salvezza.

In quelle terre da leggenda, contese tra Siena, Volterra e Massa Marittima per le miniere d'argento, si consumò nel silenzio e nel nascondimento colui che oggi parla con voce sommessa ma tenace e viva. Il denaro è un bene ghiotto, appetibile, che accresce fortune a dismisura ma qui è posto sulla bilancia che segna per sempre la vita di un ragazzo redento dalla penitenza e dall' amore. Garante di questa memoria è il popolo di Montieri e don Orazio Ciampoli, il parroco del paese, che con le sue fraterne omelie e le Sante Messe che ogni domenica si intonano con l' organo, eleva al cielo nel calice santo la gratitudine per aver avuto quel murato vivo che ancora parla e cammina con noi. A Montieri si potrà ancora ascoltare quella sua impercettibile deflagrazione, quel suo gran silenzio, quel boato chiaro e pervasivo che rintrona nel tepore della luce le valli circostanti e la montagna d' intorno. Meraviglia di schietta semplicità che emana dalla sua commovente cella, abbarbicata come un nido di rondine alla casa del Buon Pastore.

Nell' aria pura di un paese incantato e tutto da scoprire, ecco la rarissima, unica, leggenda di un giovane alternativo di un esponente dell' arte minimale che usa lo spazio per essenza, non per vanità. Non è lo spazio minimo di Le Corbusier, ma lo sorpassa. In questo magnifico paesaggio, sotto la cella del beato, che traguarda l' abbazia di San Galgano in Val di Merse e Siena in vaghe lontananze, è nato davvero quell' agilissimo e fruttuoso melo di cui parlavo. È come una sentinella del mattino in questa notte oscura: il melo intatto del Paradiso terrestre vive a Montieri, quale fragrante miracolo dell' amore che sempre rifiorisce. (Avvenire)

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