religione

La vocazione di San Matteo, spiritualità in immagini

Antonio Tarallo
Pubblicato il 21-09-2021

L’ossimoro del Caravaggio nella sua arte

Uomo che ha espresso divinamente l’umano, e dipingendo questo ha toccato Dio. Ha visto il volto di Cristo, potremmo dire, tanto da poterlo dipingere con ammirabile cura. Un uomo e tutta la sua umanità: queste le linee stilistiche di uno degli artisti più contraddittori del Rinascimento. E’ Caravaggio, o Michelangelo Merisi, se si vuole. Opere destinate a chiese, a palazzi di cardinali e potenti clericali, rappresentano - per la storia del Rinascimento artistico, ma anche per la storia della Chiesa - una sorta di nodo cruciale in cui prima o poi tutti ci imbattiamo. Chi viene a visitare Roma, può ammirare diverse tele di questo artista entrando semplicemente in una chiesa. Non c’è bisogno di biglietto alcuno. Una vastità e complessità di opere che costituiscono un tesoro per il Cristianesimo, per la storia dell’Arte. 

Siamo a pochi passi da piazza Navona. Qui si erge una chiesa, denominata San Luigi dei francesi, perché questo tempio sacro rappresenta per la comunità cattolica francese il fulcro della religiosità a Roma. In questa chiesa, in fondo, vicino all’altare maggiore vi è una cappella che conserva la famosa Vocazione di San Matteo (1599-1602), olio su tela, di vaste proporzioni, misurando ben  322 x 340 centimetri. L’opera è del Caravaggio, appunto, ed è l’emblema della chiamata dell'esattore Matteo a seguire Cristo e il suo Vangelo. 

Ma cosa è rappresentato in questa tela così affascinante? All’interno di una ampia stanza, intorno ad un piccolo tavolo quadrato vi sono cinque personaggi. A sinistra, un giovane è chinato su di un tavolo, intento a contare le monete sparse sulla tavola. Ha i capelli folti e scuri che gli coprono parte del viso. La sua attenzione è completamente assorbita dal denaro. Lo sta, avidamente, contando. Alla sua sinistra si trova un uomo più anziano, vestito con un abito pesante. Con la mano sinistra tiene sul naso un paio di occhiali con i quali osserva con attenzione l’attività del giovane. Al centro, frontalmente al piano pittorico, un altro uomo con una folta barba chiara e un copricapo a forma di basco, indica a sinistra e osserva i nuovi entrati. All’estremità opposta del tavolo, a destra, ci sono due adolescenti vestiti da militari. Quello di spalle, seduto su una panca, indossa una divisa scura con le maniche a strisce bianche. Porta un cappello piumato e al fianco sinistro una lunga spada. Il ragazzo seduto di fronte a lui è molto più giovane e indossa una divisa gialla e rossa e un cappello con piume bianche. Tutti e due si voltano incuriositi verso i due uomini entrati da destra. Ma il personaggio più importante è posta all’estremità del quadro: un raggio di luce - la Vera Luce - squarcia la tenebra in cui i personaggi indicati vivevano fin quando lui, Cristo, non entra nella stanza. Assieme ha lui vi è il primo successore di Cristo, Pietro, l’apostolo. Lui,  è raffigurato di schiena, con il volto a sinistra e la mano destra indicante uno dei personaggi seduti intorno al tavolo. Cristo, invece, indica chiaramente verso il fondo del quadro, indica Matteo.  

Ancora una volta - come in tutti i quadri del Caravaggio - la narrazione pittorica è tutta incentrata sulla luce e l’ombra, sulle tenebre e la Luce, chiara, forte e prepotente di Dio che può entrare in qualsiasi momento e in qualsiasi uomo, anche il più lontano dalla fede. E’ affascinante, sempre, trovarsi di fronte a questo “trattato di teologia in immagini pittoriche”. Trattato - seppur il termine potrebbe sembrare alquanto “esagerato” - risulta, invece, il termine più adeguato per descrivere una delle opere del Rinascimento più importanti. Se guardiamo alla vita del Caravaggio, infatti, la domanda che potrebbe suscitare una simile rappresentazione così riuscita della vocazione di San Matteo potrebbe essere: come è stato possibile per lui, uomo dal passato losco, dall’animo inquieto, poter dipingere una scena così intrinseca di spiritualità? E’ l’ossimoro del Caravaggio dove l’umano più umano, riesce a divenire “divino”. 

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