religione

Emirati Arabi, il vescovo francescano Hinder: Così cristiani e musulmani aspettano il Papa

Redazione Facebook - donaalcottolengo
Pubblicato il 01-02-2019

Le attese delle comunità cattolica e islamica per incontro interreligioso internazionale con Papa Francesco

Accogliendo il duplice invito – della locale Chiesa cattolica e dello sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan, principe ereditario di Abu Dhabi – Papa Francesco, dal 3 al 5 febbraio, sarà ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, per partecipare a un incontro interreligioso internazionale dedicato alla “fratellanza universale” promosso dal Muslims Council of Elders, organizzazione internazionale presieduta dal grande imam dell’università di al-Azar del Cairo.



A dare il benvenuto al Papa vi sarà il vescovo svizzero Paul Hinder: 76 anni, appartenente all’Ordine dei frati minori cappuccini, dal 2011 è vicario apostolico dell’Arabia Meridionale che comprende Yemen, Oman ed Emirati Arabi Uniti, una federazione, quest’ultima, di sette emirati abitata da 9.500.000 persone. I cattolici, tutti stranieri, sono circa un milione. Impegnati soprattutto in alcuni settori (edilizia, scuola, servizi e lavoro domestico), provengono da oltre cento Paesi: in prevalenza Filippine, India e altri Paesi asiatici. Vi è anche un numero consistente di fedeli di lingua araba (in maggioranza giunti da Libano, Siria, Giordania).

In questa conversazione con Vatican Insider, il vescovo Hinder, che risiede ad Abu Dhabi, racconta le attese di questa Chiesa del Golfo, che lui definisce «di migranti e per migranti».



Con quali sentimenti la comunità cattolica degli Emirati attende la visita di Papa Francesco?


«I cattolici locali sono entusiasti: unitamente alla gioia di poter stare con il Santo Padre, essere confermati nella fede e ricevere la sua benedizione, colgo in loro – che vivono immersi in un contesto musulmano e lontani dalla loro patria – l’attesa di parole di incoraggiamento e il desiderio che sia riconosciuta la loro esistenza. Non di rado i nostri fedeli hanno l’impressione che il resto del mondo neppure sappia che negli Emirati esistono comunità cattoliche; comunità, tengo a sottolinearlo, che sono molto vivaci: essere una Chiesa di migranti ci conferisce un carattere speciale e forse profetico. Possiamo testimoniare come vivere la fede con coraggio in una società non cristiana: i cattolici locali non celano la loro appartenenza religiosa, né hanno paura di mostrare ciò che sono e ciò in cui credono. Sono rispettosi della fede islamica, ma non pavidi. Il loro è un coraggio mite.

Penso che per il Papa sarà un’esperienza bella conoscere da vicino questa Chiesa. Per me questa visita rappresenta un incoraggiamento ad andare avanti con fiducia e il riconoscimento della vitalità delle nostre comunità. Mi auguro che la presenza del Papa consenta al mondo e ai fedeli degli altri Paesi di scoprire la nostra esistenza e contribuisca a richiamare l’attenzione di tutti sul drammatico conflitto che sta duramente prostrando il popolo yemenita, il quale ha bisogno delle nostre preghiere e del nostro concreto sostegno».



Quali invece i sentimenti del popolo musulmano?

«I musulmani attendono il Pontefice e guardano a questa visita con molto interesse e curiosità. Già da diversi anni ho notato che Papa Francesco raccoglie grandi simpatie e viene considerato in certo modo anche un amico. Moltissimi musulmani vorrebbero anche essere presenti alla messa presieduta dal Papa per capire di cosa si tratta. La partecipazione non sarà limitata ai soli cristiani ma certo a loro sarà data la precedenza sia perché i musulmani potranno incontrare il Papa in altri momenti sia perché la celebrazione eucaristica non è uno spettacolo. Resta comunque apprezzabile il grande interesse verso la messa manifestato dalle persone di fede islamica».



Il dialogo interreligioso è un tema sentito negli Emirati?

«Anzitutto tengo a dire che considero il dialogo tra le religioni uno dei fattori decisivi per lo sviluppo del mondo. Quello con l’islam è una via obbligata: lo ritengo necessario benché non sempre facile. Nel mio vicariato si tengono congressi organizzati da istituzioni musulmane ed eventi che coinvolgono tutte le Chiese cristiane e nei quali la Santa Sede ha un ruolo importante attraverso il Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso.

Gli Emirati Arabi mostrano sincera apertura nei confronti del dialogo con le altre religioni. In vista della visita del Papa, diversi giorni fa ho avuto una riunione con il principe ereditario di Abu Dhabi, lo sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan: è stato un incontro che definirei ottimo: il clima era molto sereno. Penso che ospitando l’incontro interreligioso internazionale dedicato alla fratellanza universale, il governo intenda anche mostrare al mondo la propria apertura e la propria tolleranza». 



Negli Emirati Arabi il 2019 è stato proclamato “Anno della Tolleranza”.

«È un segnale incoraggiante. Direi che negli Emirati questa tolleranza esiste, non solo nei confronti della comunità cattolica ma anche nei confronti dei fedeli di altre religioni. Certo, questa è una società musulmana, l’islam è religione di stato. Abbiamo dei limiti: il culto deve svolgersi solo nei luoghi che ci sono assegnati. Allo stesso modo, assemblee di carattere religioso sono consentite esclusivamente all’interno di edifici messi a nostra disposizione per tale scopo. Entro questi limiti siamo liberi di svolgere il nostro lavoro pastorale. Siamo tollerati, ma anche aiutati: ad esempio, le nove chiese presenti negli Emirati sono state costruite da noi su terreni che ci sono stati donati o affittati a una cifra simbolica dallo stato. Siamo stati anche molto aiutati nell’organizzazione della visita del Papa: tutta la parte logistica è nelle mani del governo, che si è voluto far carico anche dell’organizzazione della messa (inclusa la costruzione dell’altare)».



Ritiene che il tema scelto per l’incontro interreligioso internazionale cui parteciperà Papa Francesco, la fratellanza universale, possa rivelarsi fecondo per il dialogo tra cristiani e musulmani?

«Penso di sì. In questi anni ho notato che spesso le autorità musulmane mi chiamano “brother, fratello”: significa che in me, come anche in altri cattolici, non vedono solo le differenze che ci dividono ma anche una dimensione che ci unisce. Almeno in questa fascia della società siamo accettati e considerati fratelli. Ritengo che questo tema costituisca una buona strada da percorrere anche se noi cristiani abbiamo un concetto di fraternità che è differente da quello presente nel Corano e nel mondo islamico».



Quali frutti lei immagina potrà portare la visita del Papa e la sua partecipazione all’incontro interreligioso?

«Difficile rispondere: sicuramente posso dire che la visita del Papa costituisce un passo avanti importante nel dialogo tra cristiani e musulmani e contribuisce significativamente alla conoscenza reciproca. Un primo frutto immediato è l’atmosfera serena che stiamo respirando negli Emirati in questi giorni di attesa. Recentemente inoltre sono venute da me alcune autorità musulmane che mi hanno presentato iniziative e proposte di collaborazione (ad esempio nel campo dell’educazione) affinché la visita del Papa non resti un episodio isolato ma abbia conseguenze concrete sulla vita quotidiana della popolazione. Lo considero un segnale molto incoraggiante, e non solo per gli Emirati Arabi». (CRISTINA UGUCCIONI – Vatican Insider)


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