interviste

Le donne e l'economia italianaArticolo esclusivo di Anna Maria Tarantola, Presidente Rai, per la nostra rivista

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001



Gli studi che sono stati presentati il 07 marzo 2012 presso la Banca d'Italia, hanno messo in luce che molte, troppe donne non lavorano nel nostro paese; le loro caratteristiche sono molto diverse. Alcune sono giovani, altre sono anziane. Alcune hanno un elevato capitale umano, altre un livello di qualificazione non adeguato. C'è chi ha lasciato il lavoro e chi un lavoro non lo ha neanche mai cercato. Anche quando le donne lavorano, sono meno pagate e fanno più fatica a raggiungere posizioni apicali. Questa situazione di sotto rappresentazione e di sotto valorizzazione della risorsa femminile ha pesanti ricadute in termini di crescita e di bilancio fiscale, come ho avuto modo di ricordare in altre occasioni.

Un quadro così variegato, insieme con le disuguaglianze territoriali, suggerisce che la causa della bassa partecipazione delle donne all'economia non sia una sola. L'abbiamo visto nel corso di questa giornata. Tassazione, istituzioni, fattori culturali e organizzativi possono influire sull'ingresso e sulla permanenza delle donne nel mercato del lavoro. La difficoltà di delegare le attività domestiche e di cura per la scarsa offerta di servizi e l'atavico squilibrio dei carichi familiari sono altri fattori che possono spiegare il divario di partecipazione rispetto agli altri paesi avanzati.

Da questa molteplicità di motivazioni discende che non vi possa essere una sola ricetta: nessuna azione, se condotta in modo isolato, può essere considerata risolutiva. È necessario un approccio integrato al problema, che chiama in causa non solo tutti coloro che hanno responsabilità di governo, nei vari livelli, ma anche chi contribuisce al formarsi della cultura e delle opinioni – i mass media, le stesse famiglie - e le imprese, la cui organizzazione e le cui politiche interne possono svolgere un ruolo significativo nel favorire la partecipazione delle donne e la loro valorizzazione.

Un aspetto che oggi non è stato toccato riguarda proprio il ruolo delle imprese nella promozione delle pari opportunità e nella valorizzazione dei talenti femminili. È un tema rispetto al quale sono molto sensibile, [data la posizione di responsabilità da me ricoperta in una grande istituzione.] Sono diversi i possibili ambiti di coinvolgimento delle imprese. Vi sono innanzitutto le azioni volte a riequilibrare la presenza femminile nei contesti lavorativi. ad esempio con l'uso di quote, la costituzione di organi di verifica della parità all'interno dell'impresa, l'attivazione di strumenti [come i seminari e la comunicazione aziendale] per diffondere la cultura della parità.

Un secondo ambito riguarda la valorizzazione delle risorse femminili, da attuare attivando una ampia gamma di leve disponibili per favorire lo sviluppo delle carriere delle donne e la gestione delle diversità. Ne ricordo alcune: il mentoring, le iniziative formative, le procedure di valutazione della prestazione lavorativa e di verifica degli incarichi assegnati.

Vi è infine l'ampio capitolo delle pratiche per la conciliazione tra famiglia e lavoro, pratiche di flessibilizzazione dei tempi e dei luoghi (ad esempio, le banche delle ore, il parttime, il telelavoro) e di gestione delle interruzioni del lavoro; dell'offerta di servizi di cura o di forme di sostegno finanziario alle spese di cura.

Le politiche per la conciliazione vita-lavoro non sono ovviamente appannaggio delle sole aziende, ma queste possono svolgere un ruolo fondamentale, soprattutto in un momento in cui i soggetti pubblici fronteggiano vincoli stringenti connessi al consolidamento fiscale.

Occorre sfatare il pregiudizio secondo cui gli strumenti per la conciliazione hanno un costo troppo elevato per le aziende, specie per quelle medio-piccole, che rappresentano la dimensione tipica nel tessuto produttivo italiano. In effetti le buone pratiche si ritrovano soprattutto nelle aziende grandi, specie se multinazionali, ma si stanno diffondendo anche presso le imprese di più contenute dimensioni.

La considerazione delle ricadute positive, non solo dei costi, può spingere le imprese a investire in tale ambito. La disponibilità di strumenti che rendano compatibili le esigenze lavorative con quelle familiari può rappresentare infatti un fattore strategico di miglioramento della capacità competitiva dell'impresa perchè consente di attrarre e trattenere i migliori talenti (uomini e donne), di limitare il turnover, di migliorare il clima aziendale e il benessere dei lavoratori, di ridurre l'assenteismo, con conseguenze tangibili in termini di crescita della loro produttività. Non da ultimo, può migliorare l'immagine dell'azienda presso i consumatori. Nel complesso queste misure possono generare benefici superiori ai costi sia per l'azienda, sia per gli stakeholders.

Dai contatti con le imprese e le istituzioni emergono molte buone pratiche, ad esempio estensione, rispetto agli obblighi di legge, dei permessi riconosciuti in occasione della nascita e per la cura dei figli, l'ampliamento del periodo di aspettativa non retribuita per la nascita dei figli e delle causali ammissibili per ottenere l'anticipo del TFR. Il Gruppo Donne Manager di Manageritalia Milano, in collaborazione con il Comune di Milano, ha lanciato un progetto, denominato ‘Un fiocco in azienda', per aiutare le dipendenti, ma anche le loro aziende, nel momento della maternità. Ad esempio, l'azienda può integrare il contributo riconosciuto dall'INPS alle lavoratrici dipendenti in astensione facoltativa, portandola dal 30 al 50 per cento; tale integrazione verrà poi restituita dalla dipendente al suo rientro al lavoro, secondo un piano programmato. Per l'azienda sono previsti una serie di strumenti per la promozione della sua immagine all'esterno e forme di pubblicità dell'iniziativa. Un ente pubblico ha realizzato una spazio ricreativo e di custodia a cui i dipendenti possono accedere su prenotazione in occasione di giorni di chiusura delle scuole. [Insomma, con un po' di impegno e fantasia si può fare molto].

Quale è la situazione nelle banche centrali?

Finora abbiamo parlato di aziende in termini assolutamente generali. La mia esperienza professionale mi da l'opportunità di offrire uno spaccato di quella che è la situazione dell'occupazione e della valorizzazione femminile nelle banche centrali, e in particolare in Banca d'Italia.

Un anno fa Viviane Reding, vice Presidente della Commissione europea e Commissario europeo per la Giustizia denunciava con riferimento alle donne europee i problemi di bassa partecipazione, divario retributivo, scarsa rappresentazione nelle posizioni influenti, squilibrio nei carichi familiari. A un anno di distanza poco è cambiato. Questi problemi nel nostro paese sono particolarmente acuti. Il vice presidente aveva detto “Gender equality is not a ‘women's issue'. It is a business issue”. In quell'occasione aveva presentato i dati sulla presenza di donne nelle principali istituzioni dell'Eurosistema. Da questi dati emerge che nel 2010 tutti i governatori delle banche centrali dell'Unione europea erano uomini. In media più di 4 su 5 dei membri degli organi decisionali erano uomini. Le banche centrali di Germania, Austria, Lussemburgo e Cipro non avevano un solo rappresentante di sesso femminile negli organi decisionali. Solo in Svezia e Finlandia la quota superava il 30 per cento. Nello stesso anno solo una donna sedeva nel Governing Council della Banca centrale europea; oggi, i 23 membri sono tutti uomini. La Banca d'Italia è nella media.

Nella stessa occasione la mia collega olandese Joanne Kellermann unica donna nel Governing Board della Banca d'Olanda, ha espresso il convincimento che la diversità nello staff della Banca sia portatrice di migliori risultati. La Banca d'Olanda ritiene di avere un'importante responsabilità sociale, quella di perseguire una politica di diversity che assicuri che lo staff sia uno specchio fedele della società. Nel 2007 la Banca d'Olanda ha aderito, assieme ad altre 170 aziende e organizzazioni, all'iniziativa del governo olandese “Talent to the Top Charter”, volta a promuovere l'accesso e la permanenza di donne nelle posizioni di vertice. A fronte di un 28 per cento di posizioni manageriali ricoperto da donne nel 2009, la Banca d'Olanda ha fissato un target del 32 per cento nel 2012. Per il raggiungimento di questo target è stato definito un ventaglio di strumenti, che va dalla sensibilizzazione del personale addetto alle risorse umane e dei managers, all'inclusione di donne nelle commissioni selezionatrici sia all'atto dell'assunzione sia per l'accesso alle posizioni manageriali, alla partecipazione paritaria a programmi di formazione manageriale, alla flessibilità oraria, alle azioni di mentoring.

Se diamo uno sguardo oltreoceano, nel sistema delle Federal Reserve tra i 108 head office directors nel 2006 vi erano 21 donne, scese a 18 nel 2010; la rappresentanza femminile è limitata anche tra i senior manager. Un rapporto sulla governance delle Federal Reserve curato dal Government Accountability Office americano l'equivalente della nostra Corte dei Conti, conclude che avere un board rappresentativo dei diversi gruppi è un elemento di forza di un'organizzazione, poiché porta a disporre di una varietà di punti di vista e di uno spettro più ampio di informazioni. Ne può discendere anche per il sistema delle Federal Reserve una maggiore efficacia nella conduzione della politica monetaria.

Anche la Banca d'Italia si è posta l'obiettivo di perseguire una politica di valorizzazione delle donne, che sono circa il 35 per cento della compagine complessiva. Le donne sono mediamente più giovani dei colleghi maschi e hanno professionalità sempre più elevate; rappresentano oggi oltre il 20 per cento dei dirigenti; forse sono ancora poche, ma sicuramente in rapida crescita a tutti i livelli (erano meno del 15 per cento nel 2002).

Non ci siamo posti dei target quantitativi formali, ma è nelle linee strategiche della Banca favorire la crescita professionale e la progressione di carriera della componente femminile attivando una molteplicità di leve, di cui quella fondamentale resta, come per tutto il personale, la selezione in base al merito.

Alcune azioni le abbiamo avviate da tempo, anticipando altre grandi imprese: abbiamo asili nido e scuola materna sin dagli anni settanta. Da qualche anno siamo riusciti a riaprire un nido anche qui accanto; tutti con orari molto flessibili.

Negli ultimi anni abbiamo attivato ulteriori iniziative anche in risposta alle significative sollecitazioni che ci sono venute dalla nostra Commissione per le Pari Opportunità e dall'associazione di donne che da qualche anno è attiva in Banca d'Italia. Sono due “anime” che in Banca d'Italia – come in altre istituzioni – svolgono ruoli complementari.

Abbiamo introdotto maggiore flessibilità oraria e la banca delle ore e ampliato le possibilità di utilizzo del part-time sia verticale che orizzontale; abbiamo assicurato contributi per chi utilizza asili non di Banca d'Italia; è in discussione la possibilità di introdurre forme di telelavoro più flessibili di quelle attualmente previste dalla legislazione; aderiamo, come “azienda”, a reti di imprese e osservatori che fanno della efficace ed efficiente gestione della diversità nelle imprese una “missione”.

Abbiamo avviato riflessioni sulle possibili discriminazioni implicite nella fase di assunzione del personale, mettendo in discussione i nostri metodi di selezione (che in buona sostanza si sono comunque rivelati soddisfacenti); stiamo ponendo sempre maggiore attenzione alla composizione delle nostre commissioni di valutazione (per l'assunzione esterna ma anche per le carriere interne).

La Commissione per le Pari Opportunità sottopone a monitoraggio l'evoluzione della composizione del personale, gli avanzamenti, i differenziali retributivi. Abbiamo intensificato la sensibilizzazione dei dirigenti [di tutti i dirigenti] anche attraverso programmi di formazione manageriale.

Insomma, crediamo che molti progressi siano stati fatti negli ultimi anni. Ciò non significa che non si possa e si debba fare ancora molto, ma crediamo che anche all'interno del nostro Istituto la “cultura di genere” si sia molto modificata.

Il progetto che abbiamo discusso oggi è il portato dell'attenzione della Banca Centrale verso un fenomeno che ha ampie ricadute economiche oltre che socio-culturali, è espressione del nostro ruolo di analisti della realtà in cui operiamo, ma forse non sarebbe stato possibile senza un importante cambiamento culturale, a tutti i livelli.

Chiudo con un auspicio: che il processo verso una reale parità acceleri e che le donne possano esprimere liberamente e con soddisfazione i propri talenti. Anna Maria Tarantola

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