cultura

Giovani: oltre alla qualità anche la quantità

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

I giovani vi chiedono di essere massicciamente presenti



Innanzitutto grazie al Cardinal Ravasi e agli amici del Pontificio consiglio per la Cultura e a voi tutti per questa opportunità che mi avete dato e che offrite ai giovani di poter parlare in questa sede importante. La sento come una grande responsabilità che mi viene affidata. Quando mi è stato chiesto di partecipare a questo tavolo mi sono subito domandato cosa potessi volere io, in qualità giovane, dalla Chiesa. Volendo essere onesto con me stesso e con i miei coetanei ho pensato che i giovani, o buona parte di essi, probabilmente non vogliono niente dalla Chiesa, ma chiedono qualcosa alla vita, sta poi alla Chiesa intercettare le esigenze dei giovani, i bisogni esistenziali più profondi, cercando di tradurre il proprio messaggio per renderlo comprensibile alle nuove generazioni e divulgandolo attraverso le piazze multimediali con una massiccia presenza.

Nei prossimi giorni il Pontificio Consiglio con i suoi membri discuterà della Fede nei giovani, o meglio nelle culture giovanili, al plurale. Già questa mi è sembrata una scelta saggia dove i giovani non sono bollati o etichettati come tali e quindi messi tutti dentro un grande calderone. E non avrò di certo io la pretesa di parlare a nome di tutti, in particolare di ragazzi che si trovano a migliaia di chilometri da dove sono sempre vissuto, con una cultura, esigenze, esperienze totalmente differenti dalle mie. Penso ad esempio ai ragazzi che sono in Africa, nei paesi in via di sviluppo, o in Asia dove vivono in metropoli con decine di milioni di abitanti. Tuttavia, se questo mi allontana da loro, sono certo che una cosa ci unisce tutti e lega ogni cultura ed ogni generazione: è la domanda fondamentale sull'esistenza.

Tutti quanti ci troviamo o ci siamo trovati a tu per tu con la vita e con la morte. L' “essere per la morte”, per utilizzare un'espressione di un filosofo a me caro come Martin Heidegger, è un orizzonte imprescindibile della nostra esistenza, è un esistenziale, e prima o poi tutti ci facciamo i conti. A questo problema la Chiesa da una risposta da duemila anni.

Cosa è cambiato? Sicuramente in occidente è cambiato il rapporto che abbiamo con il mondo, è subentrata la tecnica e, in particolare nel mondo dei giovani, è entrata la tecnologia, la smartTV in 3D, internet, gli smartphone, il peer to peer, la realtà aumentata, i navigatori, la Wi-Fi, Bluetooth, i social network ecc… Si sta vivendo il momento più frenetico che l'umanità abbia mai conosciuto. Siamo in quello scenario che i futuristi avevano solo ipotizzato. Miliardi di informazioni raggiungono costantemente ogni individuo in qualunque parte del mondo si trovi. Ogni ragazzo ha a disposizione in uno schermo di 4 pollici la più grande enciclopedia mai realizzata. Parlare e vedere un amico che si trova dall'altra parte del mondo, mentre si cerca il nome di un film su internet e si commenta insieme la foto di un altro, è diventato tanto facile quanto gratuito. Siamo diventati si direbbe oggi multitasking. In un mondo come questo le immagini passano in un flusso costante di fronte agli occhi di chi vuole o non vuole vederle. La velocità e il “PRESSAPPOCHISMO” sono diventate la cifra fondamentale della cultura che ci circonda.

In uno scenario del genere, che ruolo ha la Chiesa? Nella società liquida, nel fiume in piena di informazioni che arrivano, o la chiesa impara a nuotare oppure affoga. Chiunque e in particolare i giovani che vivono da nativi questo “ecosistema digitale” - seppur immersi in un habitat - non sono esenti dalla domanda fondamentale sull'esistenza: sono probabilmente solo più distratti, più INDIFFERENTI a quelle che sono le questioni che la Chiesa pone. E proprio l'INDIFFERENZA credo sia il problema più cogente che oggi ha la Chiesa, spostare lo sguardo dal fugace, dall'effimero a ciò che è sostanziale e fondamentale per l'uomo. Il Cardinal Gianfranco Ravasi ed il pontificio Consiglio per la Cultura con il Cortile dei Gentili stanno facendo sicuramente un ottimo lavoro da questo punto di vista e so che hanno intrapreso e stanno battendo proprio questa strada, come hanno poi sottolineato, oramai due anni fa, a Bologna all'apertura del ciclo di decine di conferenze che si sono succedute in tutto il mondo in questi anni. Sicuramente questa è una strada da percorrere, ma non basta. Per poter combattere l'indifferenza c'è bisogno di INTERCETTARE le esigenze che i giovani hanno. Come si diceva pocanzi ognuno, nella propria vita, ha bisogno di fermarsi un attimo, di riflettere sul senso delle proprie azioni per non arrivare in apnea fino all'altro bordo della vasca senza mai tirare fuori la testa dall'acqua. In questi momenti, essenziali e inevitabili della vita dell'uomo, i ragazzi si orientano. Io, ad esempio, ho scelto dopo un anno di architettura di studiare filosofia per il bisogno esistenziale di risposte a domande di senso che, probabilmente, non ho trovato. Mio padre mi avvertiva, anche lui incauto studente di filosofia, che non avrei trovato risposte ma solo altre domande. Forse è vero, è quello che è successo, ma questa è la nostra natura, la natura dell'uomo. Quello che voglio dirvi è questo: io in quel momento non sono stato intercettato dal messaggio della Chiesa.

E per quale motivo? Io credo che il linguaggio della Chiesa debba essere da un lato moltiplicato esponenzialmente, dall'altro debba essere TRADOTTO. E se è vero che il modo e il mezzo con cui una cosa viene detta ne cambia il contenuto, mai come adesso c'è bisogno di mettere mano al vocabolario.

Non dovete fare l'errore di stare su twitter per scrivere in 140 caratteri solo per il fatto che i giovani lo fanno, perché Cristo: “ama il tuo prossimo come te stesso”, lo avrebbe scritto in molti meno caratteri e lo ha detto più di duemila anni fa. Quello che penso dobbiate fare è di usare questi 140 caratteri per fare quello che avete sempre fatto, per moltiplicare questo messaggio in milioni di modi diversi, per essere presenti, per comunicare in modo massiccio il messaggio della Chiesa; una cosa, tra l'altro, che vi è sempre riuscita: non a caso la bibbia è il libro più venduto al mondo. Fino a 50 anni fa la Chiesa era presente in modo considerevole nella comunità e quindi tra i giovani. La socialità si sviluppava intorno alla chiesa, la parrocchia era ancora la parà oikìa - dove appunto la vita della comunità si svolgeva per buona parte intorno alla casa del Signore - c'erano le feste paesane, l'azione cattolica, si andava in colonia con il prete, c'era il cineforum, il catechismo e le chiese si trovavano tutte nella piazza principale dove potevano far sentire il suono delle campane. Oggi il luogo della presenza, la piazza, si è spostato.

Si dice sempre che c'è bisogno di qualità e non di quantità, questo forse una volta, oggi invece è necessaria la QUANTITA', di qualità la Chiesa è piena, sono duemila anni che ragiona sempre sulle stesse cose… Sono stati scritti migliaia e migliaia di libri, il problema è che nessuno li legge. Se oggi non si è presenti in certi canali è come se non si esistesse. Se è vero che il cervello è una spugna che assorbe impulsi e informazioni e, di questi centinaia di migliaia che oggi ci vengono proposti la religione ne occupa solo una minima parte, anche se portatrice di un importante messaggio non verrà ascoltata, la parola rimarrà muta.

Ancora più urgente credo sia tradurre questo messaggio, attraverso la coerenza, mediante la testimonianza di vita, con un ragionamento razionale che possa arrivare alle persone in modo semplice e veloce da una parte, profondo e COMPRENSIBILE dall'altra. Io per cercare di rendermi intellegibili alcuni dei principi fondamentali della Chiesa mi sono dovuto leggere sant'Agostino e san Tommaso, leggere Platone e Aristotele, Hegel e Gadamer… ma quanti come me lo faranno? L'indifferenza come abbiamo detto sta alla base del problema se non si vuole arrivare a toccare l'altro lato della vasca in un sol fiato. Dall'altra, la TRADUZIONE diventa un momento imprescindibile, complementare, se si vuole intercettare le esigenze dei giovani. Io, come tanti miei amici e coetanei, se non vado a messa tutte le domeniche è perché il “predicozzo” del prete non mi dice niente, non mi si addice, non parla il mio linguaggio.

Un'etichetta che non mi è mai piaciuta è quella di “credente o non credente”, come diceva Norberto Bobbio: “la differenza rilevante per me non passa tra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non pensanti”. E lavorando con i francescani mi sono imbattuto diverse volte in chi me lo chiedeva. In quei momenti ti sembra quasi di stare allo stadio: per chi tifi? Credo che una domanda così profonda abbia bisogno di una risposta altrettanto complessa se viene posta veramente, tanto complessa quanto lo è la vita. Gli ermeneuti, nel Novecento, avevano questo modo di scrivere trattando di argomenti fondamentali, parlavano e riparlavano per pagine e pagine sempre della stessa cosa, girando intorno al problema, con continue definizioni che mettevano sistematicamente di nuovo in discussione, percorrendo ogni volta strade diverse e allargando di volta in volta l'orizzonte e la consapevolezza che si poteva avere del problema. Quando approdai al Sacro Convento e iniziai a lavorare alla comunicazione dei francescani nessuno, e sottolineo nessuno, mi chiese se fossi credente o non credente. Sono sicuro che mi posi prima io il problema che loro. Avevo più pregiudizi io su me stesso che i frati. Solo dopo un po' di tempo ho capito che il fatto di venire da un mondo laico che si pone delle domande e pone delle questioni alla Chiesa, avrebbe solo potuto arricchire il punto di vista della loro comunicazione, andando a creare quell'osmosi che intercettava le esigenze di coloro che sono fuori dai soliti canali ai quali finora si erano rivolti.

Il mio compito è stato quello di provare ad esprimere le esigenze dettate dal mondo in cui una generazione come la mia sta crescendo, quella dei nativi digitali. Quando avevo 8 anni mia madre mi comprò uno dei primi computer e una delle prime consolle e, a 15 anni, avevo già internet a casa, da allora sono passati quasi 15 anni e in questi 15 anni è cambiato il mondo in modo incredibilmente veloce. Con questo non voglio dire che quello che è stato fatto debba esser accantonato, ma sicuramente ripensato e integrato nel loro naturale sviluppo.

La Chiesa oggi rischia sicuramente di incidere poco perché i giovani non si fanno più le domande, ma vogliono comunque le risposte in un click. Non so quale sia la soluzione, questa dovete trovarla voi, questo è lo scopo della plenaria… In bocca al lupo…

Cari amici la rivista San Francesco e il sito sanfrancesco.org sono da sempre il megafono dei messaggi di Francesco, la voce della grande famiglia francescana di cui fate parte.

Solo grazie al vostro sostegno e alla vostra vicinanza riusciremo ad essere il vostro punto di riferimento. Un piccolo gesto che per noi vale tanto, basta anche 1 solo euro. DONA