fede

Preghiera per Italia, Vescovo Sorrentino: Andrà tutto bene il Signore ci vuole bene

Domenico Sorrentino
Pubblicato il 22-03-2020

Cari fratelli e sorelle,

 

la messa celebrata qui alla tomba di San Francesco,  con i pochi frati che partecipano, risente del difficile momento che stiamo tutti vivendo, ma vuole essere soprattutto un momento di speranza.

Vi guardo con gli occhi del cuore. Lo strumento televisivo accorcia un po’ le distanze. Ma solo il cuore le può davvero eliminare. L’incubo del contagio ci sta costringendo a  una distanza innaturale. Rende i nostri contatti sospettosi e dominati dalla paura. Siamo continuamente tallonati da un  nemico invisibile e imprendibile, e le immagini dei tanti fratelli e sorelle che non ce l’hanno fatta, ci deprimono. L’ansia per quelli che stanno lottando ci affatica. La condivisione per coloro che si stanno prodigando, anche eroicamente  – tra personale medico, forze dell’ordine, volontari, ­– ci fa sentire ammirazione, commozione, gratitudine e solidarietà. La domanda  che ci poniamo tutti: quando finirà? Come   finirà? Non  ci sfugge infatti che quello che all’inizio sembrava un problema circoscritto e circoscrivibile, ha ormai una dimensione mondiale  difficilmente controllabile.    Ma facciamo bene, nonostante tutto, a non perdere la speranza. È  bello anche che la  esprimiamo insieme. È  bello  l’augurio che in questi giorni tante volte risuona: “Andrà tutto bene”.

Ma se questa parola può avere un senso vero e non illusorio, lo acquista qui, all’altare del Signore.  Andrà tutto bene perché il Signore ci vuole bene. Non siamo soli a combattere: egli soffre e combatte con noi.

 

Questa grande prova ci sta facendo riflettere.  Ci costringe a prendere coscienza che, anche nel tempo in cui la scienza e la tecnica fanno meraviglie, basta un virus a metterci tutti in ginocchio.

Il Dio che troviamo qui, all’altare del Signore, mentre celebriamo la Santa Messa è il Dio che si è fatto uno di noi, e ha preso su di sé la nostra fragilità, caricandosi perfino del nostro peccato. È un Dio che non ci toglie la prova, ma ci aiuta ad affrontarla e a superarla.

 

È quanto comprendiamo da queste pagine bibliche che sono state appena proclamate.

Nella prima lettura siamo riportati alla storia del popolo di Israele, in un momento in cui è minacciato da nemici che gli rendono difficile la vita, e con  un re, Saul, che non se la sa cavare, anzi, con  la sua infedeltà a Dio, fa più danno. Dio interviene scegliendo un nuovo re. Non lo sceglie tra adulti maturi  e di esperienza. Sceglie un ragazzo, Davide. Sarà il re che segnerà l’intera storia del popolo ebraico. Ma al momento non è che  un ragazzo: interpellato dal profeta, il padre nemmeno aveva pensato a lui, il più piccolo. Ma è proprio lui il prescelto.  Dio sceglie, per così dire, la piccolezza, la debolezza, accompagnandola con la sua forza. Non si sostituisce agli uomini, ma li orienta e li sostiene. Davide dimostrerà che tutte le battaglie si possono vincere, se si conta non sulla propria abilità, ma ci si affida a Dio. Nella battaglia che stiamo combattendo contro il coronavirus, possiamo certo dire:  “andrà tutto bene”, ma dobbiamo aggiungere: “se ci affidiamo a Dio”, se gli riapriamo il cuore.

 

Il vangelo parla di un cieco. In lui ci possiamo ritrovare tutti.  Una delle cose che i medici  ci spiegano, è che la difficoltà di vincere questo disastroso contagio dipende dal fatto che non conosciamo ancora abbastanza  questo virus. Non lo vediamo. E non si può combattere ad occhi chiusi. Ma questo non vale solo per il coronavirus.   La nostra cultura, nell’era internet, è cresciuta a dismisura, al punto da darci l’impressione  di avere la chiave di soluzione di tutti i problemi. 

Ma basta poco a farci rendere conto di quanta debolezza si annidi nelle nostre presunzioni. Quando ci poniamo sinceramente di fronte alla vita e alla morte, e ce ne chiediamo il senso, ci rendiamo conto di essere ancora come quel cieco al quale Gesù deve ridonare la vista. E lo sguardo allora torna su Gesù e siamo messi di fronte alla sua pretesa di essere la luce del mondo:  una pretesa che  non avrebbe alcun senso se egli non  fosse il Dio con noi.

 

In che senso Gesù  è luce? In questi giorni di quaresima la liturgia ci fa camminare verso la luce della Pasqua, ma ci addita prima ancora  il mistero della croce.

Gesù è luce anche dalla sua croce. Direi proprio dalla sua croce.  Quello che doveva essere solo un patibolo, è diventato un faro. E non perché la croce sia in sé una cosa bella: è croce, è sofferenza, e non possiamo desiderarla. Ma essa, sul Golgota, è soprattutto l’espressione dell’amore che si dona. Ed è in questo che si fa luce.  Gesù ci dice, in sostanza, che la nostra vita ha un senso se è una vita di amore. Ce  lo ripete costantemente nella celebrazione eucaristica con il dono di sé: “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo”. Se non possiamo in questo periodo assumere sacramentalmente il corpo del Signore, invochiamo almeno i frutti della presenza eucaristica nel nostro cuore.

 

San Francesco ci aiuta a metterci in ascolto di Gesù. Qui riposano le sue spoglie mortali. Qui egli si rivela intercessore dal cielo. È il  patrono d’Italia. Da secoli il nostro Paese ha trovato in lui un modello e un compagno di viaggio.

 

Anche Assisi,  come tutte le città italiane, in questi giorni è irriconoscibile. Ma dentro le nostre chiese deserte, dentro le nostre Basiliche, dentro i monasteri e le case religiose, si leva incessante la preghiera per l’Italia e per il mondo. In questa messa poi, con il conforto di sapere che anche a  Gerusalemme si fa altrettanto per noi e con noi. Francesco d’Assisi ha gettato un ponte speciale tra la sua tomba e il Golgota, perché volle essere pienamente conforme a Gesù crocifisso,  e lo fu sino a riceverne le stigmate.

 

Proprio in  questi giorni egli avrebbe accolto qui oltre 2000 giovani da tutte le parti del mondo, invitati da papa Francesco per un grande evento che ha dovuto essere rinviato per la drammatica contingenza che stiamo vivendo. Giovani interessati all’economia, come studiosi e operatori, ai quali il papa ha chiesto di riflettere sull’attuale sistema economico mondiale,  e di fare un patto con lui, sulle orme del nostro Santo, per una economia che sia sempre più improntata a criteri di inclusione e di fraternità. La crisi del coronavirus ha mostrato ancora una volta come tutto si tiene, e l’aspetto sanitario è inevitabilmente legato anche all’aspetto economico. Desidero dalla tomba di Francesco inviare un caro saluto a tutti i giovani di Economy of Francesco, in tutte le nazioni del mondo.  Un pensiero speciale anche per il Santo Padre, che il prossimo 28 marzo sarebbe stato qui a portare  ai piedi del nostro Santo il  patto firmato con i giovani. Speriamo di poter vivere tutto questo   a novembre, con entusiasmo ancora maggiore, e forse anche meglio illuminati dai problemi che questa crisi mondiale sta facendo emergere.

 

A tutti voi che seguite da casa, l’ abbraccio della fraternità e della fede. Lasciamoci  illuminare come Francesco dalla luce di Gesù. Ne venga tanto coraggio e speranza a quanti in questi giorni vivono momenti di preoccupazione, di lotta, di solitudine. Siano accolti nelle braccia di Dio i nostri morti e siano consolati i loro cari. Sia luce ai nostri governanti perché, nell’unità, nella saggezza e nella prudente fermezza, sappiano guidare la nazione in questo difficile momento. Ciascuno di noi dica con le parole del Salmo appena ascoltate:   Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me.



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