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Pio XII, tra Scienza e Fede. L’Astronomia della Pace

Antonio Tarallo Redazione online
Pubblicato il 31-07-2018

"Sono assai lieto di informarvi che S.S. Pio XII, nel discorso tenuto alla seduta inaugurale della Pontificia Accademia delle Scienze, parlando delle ricerche astronomiche moderne, si è benignamente compiaciuto di ricordare per intero un brano della mia "Astronomia Siderale" e precisamente un buon tratto della pag. 318 del Volume III, dove si parla delle Supergalassie".  Così si esprimeva Giuseppe Armellini, l’astronomo delle legge empirica sulle distanze planetarie, alla Casa Editrice Zanichelli, in una lettera datata 5 dicembre 1941. Nel documento, dunque, si fa un chiaro riferimento a Papa Pio XII, Papa Pacelli, il pontefice ricordato soprattutto per il pontificato che ha dovuto affrontare il tragico periodo della seconda guerra mondiale.

Anche Pio XII – come il suo predecessore, Pio XI (lo abbiamo visto nella precedente puntata) –  fu un importante sostenitore delle Scienze e in particolar modo di quella scienza che ha come oggetto di studio il cielo, l’astronomia. E’ un dato di fatto che due volte, in maniera ufficiale, il pontefice espresse il suo pensiero su tale argomento. Come è un dato di fatto, ben evidente, l’iscrizione marmorea presente all’osservatorio di Castelgandolfo che reca la seguente scritta:

 “Pio XII, Pontefice Massimo, insigne promotore della Pace non meno che delle Scienze, nel cinquantesimo anno dalla rifondazione della Specola e terzo del suo pontificato, dispose che, dalla Torre Leonina sul Colle Vaticano, fosse qui trasferito l'astrografo e si edificasse qui una nuova torre quanto più si può adatta all'osservazione astronomica. Opera di pace mentre nel mondo intero infuriava la guerra”.

Colpisce molto, non c’è dubbio, quell’ “opera di pace” per indicare la nuova struttura astronomica, quasi come se il cielo fosse l’unico punto d’incontro per la pace. Lì, lontano dalla disumanità, a cercare pace nel cielo. Visione poetica, alquanto. Questo è vero.

Ma andiamo al “Discorso di sua santità Pio XII ai partecipanti al congresso mondiale di astronomia”. Era avvenuto proprio in quel colle romano, nel salone degli Svizzeri, il 7 settembre 1952.

“Ciò che per gli astronomi del passato fu un enigma ed un sogno, e che per i contemporanei è invece divenuto chiara realtà, superante ogni antiveggenza, si può forse giustamente esprimere con queste parole: la conquista dello spazio cosmico. Osservazione, intelligenza, nuovi mezzi tecnici, hanno posto in mano alla scienza astronomica come un gigantesco compasso, che essa ha ogni giorno più aperto sull’universo, fino a poter abbracciare presentemente dimensioni trascendenti ogni aspettativa. Quante barriere, erette soprattutto dalle enormi distanze, sono cadute negli ultimi decenni sotto l’incoercibile spinta dello spirito investigatore e non mai pago dello scienziato!”.

“Con legittimo orgoglio la scienza astronomica del nostro secolo si è aggiudicata il merito della conquista del sistema galattico. A questo primo e felice balzo doveva ben presto seguirne un altro, che avrebbe portato la conoscenza umana al di là della Via Lattea, nella immensità dello spazio; Ma esso fu reso possibile soprattutto grazie ai giganteschi telescopi di Lick, di Yerkes e del Monte Wilson”.

Ma dopo le osservazioni storico scientifiche, non poteva mancare, da parte del pontefice, il pensiero alla Mente suprema, all’ordinatore di tutto. In questo modo il discorso si dirige verso “ali” ( e il caso di dirlo) metafisiche:

“Felice e trascendente questo incontro, attraverso la contemplazione del cosmo, tra lo spirito umano e lo Spirito Creatore. Spirito in verità divino, e non quasi un’anima del mondo, con esso confusa, come sognò il panteismo. L’universo stesso della nostra esperienza si ribella a questo errore, confessando di essere in tutto composto, nonostante la sua unità dinamica, e mostrando, accanto alle sue innegabili bellezze ed armonie, le evidenti sue imperfezioni, inconciliabili con la divina pienezza dell’Essere. Spirito divino, distinto e differente dal mondo, non però fuori del mondo, appartato quasi in solitudine sdegnosa, che l’opera sua abbandonerebbe alla sua sorte, come affermano le teorie deistiche, ma, al contrario, presente al mondo, come creatore, conservatore e governatore onnipotente, a cui il mondo è legato nel suo intimo essere e nell’operare in una dipendenza essenziale”.

Ma precedente a questo discorso, dobbiamo nominarne un altro (andiamo a ritroso, questa volta) del 1941, rivolto agli Accademici della Pontificia Accademia delle Scienze, in occasione del VI anniversario della sua fondazione:

“Non vi meravigliate se innanzi a voi, che avete con tanto acume studiato, indagato, anatomizzato, raffrontato i cervelli degli uomini e degli animali irragionevoli, Noi esaltiamo l'uomo, il quale leva la fronte irradiata da quell'intelligenza, che è retaggio esclusivo della specie umana. (…) L'uomo è grande. Il progresso, che egli fa e promuove nelle scienze fisiche, naturali, matematiche, industriali, avido di sempre migliori e più ampi e sicuri avanzamenti, che altro è mai se non effetto del dominio, che esercita ancora - quantunque limitato e di faticosa conquista - sopra la natura inferiore?  E quando mai, come al presente, l'ingegno umano cercò, studiò, scrutò, penetrò la natura per conoscerne le forze e le forme, per dominarle, piegarle nei suoi strumenti e servirsene a suo genio?”.

E’ davvero interessante notare quanta sia la fiducia nell’Umanità di questo pontefice, e fa ancora più riflettere il fatto che queste parole vengano pronunciate proprio in un periodo in cui – certamente – proprio questa umanità, questo “intelletto”, veniva “messo alla prova” dalla disumanità che ogni guerra reca in sé.

Postilla, assai piccola, visto che meriterebbe un approfondimento a sé. Non si vuol entrare in merito a una “vexata quaestio” tra le ricerche (proprio avvenute sotto il pontificato di Pio XII) di Monsignor Lemaître (che sarà il primo a ipotizzare quella che passerà alla storia come “la teoria del Big Bang”) e il rapporto con Papa Pacelli. La vicenda è assai articolata. In questa storia, ci si divide fra chi trova un dissidio teologico fra i due, e chi – invece – sostiene che i due personaggi avessero posizione comune. Forse, al di là delle questioni cosiddette nel “particolare”, vale ciò che Monsignor Lemaître affermò in merito allo scienziato credente e non credente:

“Entrambi si sforzano di decifrare il palinsesto di molteplici stratificazioni della natura dove le tracce delle diverse tappe della lunga evoluzione del mondo si sono sovrapposte e confuse. Il credente ha forse il vantaggio di sapere che l’enigma ha una soluzione, che la scrittura soggiacente è, alla fine dei conti, opera di un essere intelligente, dunque che il problema posto della natura è stato posto per essere risolto e che la sua difficoltà è indubbiamente proporzionale alla capacità presente o futura dell’umanità”.

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