religione

I tre gesti di Gesù e Francesco

Padre Enzo Fortunato Pixabay
Pubblicato il 09-04-2020

L'eucarestia e l'incontro tra divino e umano

Vorrei con voi vivere il Giovedì Santo, il primo giorno del triduo pasquale attraverso gli affreschi del ciclo della Passione di Gesù. Mi fermo su due affreschi: l'ultima cena e poi la lavanda dei piedi.

Quello che colpisce in questi due affreschi sono i due colori che dominano: il blu e il rosso. E poi i dettagli della vita quotidiana, quando Gesù lava i piedi, c'è il catino, si vede bene l'anfora, l'asciugatoio, le scarpe tolte al lato. Nell'ultima cena ci sono addirittura i piatti e i gatti e i cagnolini che mangiano sui piatti.

Mi fermo sui due colori che dominano: blu e rosso. Il blu è la divinità di Dio, un colore regale delicato, un guardare in cielo. Il rosso è l'umanità dell'uomo, la passione, l'impulsività, il suo essere sanguigno. L'ultima cena e lavanda dei piedi ci ricordano che umanità e divinità si incontrano.

Portiamo queste immagini nel cuore. Vorrei evidenziare tre gesti che compiono Gesù e san Francesco.

Gesù si alza da tavola, indossa un asciugatoio e si china sui propri compagni, lavando i loro piedi. Sono i tre gesti dell'eucarestia. In questo giorno un passaggio della preghiera è rivolto anche a noi sacerdoti: "Ti rendiamo grazie perché ci hai ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale". Che ognuno di noi possa dire: "grazie".

Grazie per averci ammessi a una presenza benedicente, che invita a compiere questo triplice gesto. Un gesto che significa alzarsi da tavola, lasciare le proprie posizioni, manifestare tutta la propria statura, altezza, nobiltà d'animo. Abbandonare arroganza, presunzione, la denigrazione dell'altro. Lasciare queste posizioni, come un invito alla conversione del cuore e della mente.

L'altro gesto: Gesù si cinge dell'asciugatoio. Cristo indossa altre logiche: la logica della carità. "Charitas christi urget nos". Abbraccia la logica dell'amore. Indossare il grembiule del servizio. Don Tonino Bello diceva sempre che i sacerdoti non devono mettere l'amitto, un pezzo di stoffa che si mette sulle spalle per poi indossare il camice. I sacerdoti devono mettere il grembiule: la Chiesa sia la chiesa del grembiule, la Chiesa che serve.

Infine c'è il gesto del chinarsi. I piedi sono l'elemento più sporco della persona ed è lì che Gesù vuole fare pulizia, nella parte più sporca di noi. È lì che vuole ridare dignità. È come se dicesse: "la dignità inizia dalle radici", da quel fango che Gesù stesso vuole toglierci.

Poi c'è l'altro aspetto, i tre gesti di Francesco. Andiamo proprio all'inizio della sua conversione, quando cavalcando nella valle di Assisi, sente che la sua vita deve cambiare. Che l'altro non può essere escluso. Immaginiamolo che scende da cavallo, guarda negli occhi il lebbroso, si toglie l'armatura e infine lo abbraccia e lo bacia.

I tre gesti di san Francesco che riprendono i tre gesti di Gesù.
Francesco scende da cavallo, dai propri sogni, dalla presunzione che aveva, dal sentirsi migliore degli altri - veniva chiamato il "re delle feste" - scende dalla ricerca di ricchezza.
Si toglie l'armatura: si toglie le difese. E solo se ci togliamo le difese di dosso allora lo possiamo davvero incontrare. Togliersi tutto ciò che non permette a Dio e al fratello di penetrare nel cuore.
Infine, guarda negli occhi e bacia il lebbroso. Significa dire che l'altro ci è fratello, è il gesto di carità che Gesù compie lavando i piedi, san Francesco lo compie baciando il lebbroso.

Un'ultima aggiunta: quando Francesco muore, rivive l'ultima cena. All'eucarestia lui dona alcune delle sue parole più importanti: "O umiltà sublime", ogni giorno Gesù viene a noi in quel frustolo di pane: "Tutta l’umanità trepidi, l’universo intero tremi e il cielo esulti, quando sull’altare, nella mano del sacerdote, è presente Cristo, il Figlio del Dio vivo" (FF 221).

Contempliamo dunque questi gesti: l'eucarestia non è qualcosa di statico. L'eucarestia è il cuore di Dio e il cuore dell'uomo che rendono grazie. Gesù oggi ci dice grazie, perché ci accostiamo a lui. E noi gli diciamo grazie perché ci fa sperimentare il suo abbraccio, la sua presenza, il suo amore viscerale, come una madre, per ciascuno di noi.

Padre Enzo Fortunato

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