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'Le razze non hanno futuro'. La profezia meticcia di Papa Francesco

Piero Schiavazzi - Huffington post Ansa/DONATO FASANO
Pubblicato il 26-02-2020

La rotazione dell’asse geopolitico della Cei nel pontificato di Bergoglio

Le razze non hanno futuro”: papale – papale. Francesco non si era mostrato mai così assertivo, perentorio e quasi volutamente provocatorio nell’esporre il movente teologico e provvidenziale, prima che antropologico e sociale, delle migrazioni contemporanee. Fenomeno da ricondurre a un disegno divino, trascendente, prima che a un bisogno terreno, seppure cogente. Puntando al meticciato universale, quale approdo conclusivo della famiglia umana. E individuando nel Mediterraneo il proprio ambito elettivo: “Il messaggio del meticciato ci dice tanto”.

Un messaggio coast - to - coast, tirrenico e adriatico, che riassume il manifesto sudista di Bergoglio, enunciato in giugno a ponente, nell’ateneo napoletano della Compagnia di Gesù, e proclamato poi a levante, di fronte al suo “stato maggiore”, riunito a pieni ranghi sul lungomare di Bari. Mettendo in preventivo gli attacchi populisti e giocando d’anticipo: “Mi ricordano i discorsi degli anni Trenta, seminavano l’odio”.

Alla fine, potremmo dire, l’Italia si è aggiudicata un vertice: non il summit politico però, dei monarchi e dei capi governo, bensì quello ecclesiastico, dei patriarchi e degli episcopati. Conforme all’unica leadership che ancora le spetta e viene riconosciuta, nel “grande lago” e oceano interno. Galilea e galleria, fascinosa e fatidica, minacciosa e mimetica delle genti del Terzo Millennio. Un gigantesco specchio di Archimede, capace di proiettare i suoi fuochi nel mondo ed incendiarlo.

Al posto dei cortei presidenziali, tra le palme dei viali murattiani, ha sfilato una processione fugace, violacea e misto porpora, di zucchetti, talari e croci argentee, luccicando alla vastità dell’orizzonte, per poi adombrarsi e perdersi all’istante, nei mezzi androni e strade senza uscita, del labirinto della città vecchia. Metafora di un rebus diplomatico irrisolto e contorto, di slarghi occasionali e ingorghi ancestrali.

“Le polarizzazioni sempre più forti non aiutano a risolvere i problemi”.

Quando Francesco a gennaio nell’incipit del discorso al Corpo Diplomatico ha stigmatizzato il tratto caratterizzante del 2020, è parso per un attimo che il fantasma di Lepanto, mirabilmente imprigionato da Giorgio Vasari nei dipinti della Sala Regia, potesse staccarsi dalle pareti e riapparire all’improvviso nelle acque tra Grecia e Cirenaica, dove il ritorno del sultano, in simultanea, per giunta, con la new entry dello zar del Cremlino, catalizza una timida sorta di Lega Santa, del XXI secolo, tra i riluttanti soci della UE: non meno divisi atavicamente dei loro antenati del Cinquecento, ma istintivamente coesi davanti al comune pericolo, finendo per diffondere la percezione di un conflitto di matrice religiosa. E motrice contagiosa.

In tale cornice l’iniziativa della Conferenza Episcopale, di convocare in Puglia un “concilio” dei vescovi rivieraschi, agisce da correttivo lungo la direttrice del dialogo e assume un profilo aggiuntivo di attualità, restituendo alla penisola quella centralità che l’Italia non riesce più ad esprimere sul piano politico.

Il Paese ha perso terreno, anzi per meglio dire ha perso mare, proprio mentre quest’ultimo al contrario s’insinua e lo pervade a ondate umane, di profughi e migranti. Mai così nostro e al tempo stesso altrui.

Ci voleva un presule lapiriano, pastore in terre asciutte, senza coste, per fare del Mare Nostrum la priorità della Chiesa italiana e riposizionare la CEI sulla scena continentale.

A settantotto anni, l’arcivescovo di Perugia Gualtiero Bassetti, toscano di Marradi, cresciuto all’ombra della cupola di Brunelleschi nella Firenze del sindaco asceta e cardinale a sorpresa nel concistoro d’esordio del Papa gesuita, incarna il frutto maturo della selezione antropologica e teologica indotta nell’episcopato dall’avvento di Francesco.

Se La Pira tuttavia teorizzava e operava sullo sfondo, statico, della guerra fredda, Bergoglio evangelizza e si staglia nella prospettiva dinamica e surriscaldata della globalizzazione, aggiornando il mito hegeliano (“battezzato” e filtrato da una serie di autori a lui cari) del Mediterraneo e rilanciandone la vocazione di “ombelico”, “elemento connettivo”, “asse” della storia del mondo.

“Quando si rinnega il desiderio di comunione, iscritto nell’uomo e nella storia dei popoli, si contrasta il processo di unificazione della famiglia umana, che già si fa strada tra mille avversità. Il Mediterraneo ha una vocazione peculiare in tale senso: il mare del meticciato. Le purezze delle razze non hanno futuro”.

Il meeting pugliese ha di conseguenza portato a compimento la rotazione dell’asse geopolitico della diplomazia pontificia, cominciata nel luglio 2013 sugli scogli di Lampedusa: viaggio italiano di piccolo cabotaggio, misurandolo a miglia marine, ma internazionale di largo raggio, valutandone la soglia e la svolta epocale. Quasi che l’isola fosse il perno di un compasso planetario prescelto a ri-orientare la politica estera del Vaticano da Nordovest a Sudest. Verso l’Africa, riserva di anime, dove la Chiesa cresce come in nessun altro luogo, e il Middle East, landa inaridita, dove è nata e adesso lotta per non estinguersi.

Sembra lontanissimo il periodo nel quale toccò alla CEI del filo-atlantico Camillo Ruini, durante la prima (1991) e seconda (2003) guerra del Golfo, all’apice della frizione fra gli Usa e Wojtyla, il compito di avanzare con sottigliezza il distinguo e riequilibrare la posizione, ribadendo le ragioni del proprio ancoraggio all’Occidente. Mentre Washington e gli alleati dell’America – Italia inclusa - non fanno ancora ritorno dall’odissea intrapresa 30, e 20 anni, orsono dai due Bush, il vecchio e il giovane, novelli Telemaco e Ulisse alla deriva.

Più che un sinodo Bari ha evocato dunque un periplo, alla ricerca di possibili approdi, come chi sbarca e scendendo percepisce di avere messo piede in un mondo nuovo, diverso da quello che credeva di conoscere.

“Dobbiamo convincerci: si tratta di avviare processi, non di occupare spazi”.

Come Caino e Abele, ma in versione geopolitica. Lo spazio ha ucciso il tempo, riaffermando la propria superiorità su di esso e sconfessando il principio chiave, il più eversivo, ribelle, innovativo del pensiero filosofico di Francesco, nell’area in cui tutto parrebbe di converso destinato a rimanere anche materialmente, non solo nominalmente, a metà: tra il Mediterraneo, mare in mezzo alla terra, e la Mesopotamia, terra in mezzo ai fiumi. Dove i cristiani restano attanagliati nella doppia, implacabile faglia che spacca e fa tremare i territori della Umma. Quella principale, tra i poli magnetici del Regno Saudita e dell’impero persiano degli ayatollah, ertosi a protettore della minoranza sciita. E quella ulteriore, tra i modelli antitetici della democradura islamica di Erdoğan e della dittatura “laica” di Al - Sisi, lesti a contendersi la egemonia della maggioranza sunnita, con le liste rispettive di solerti alleati, dal Qatar agli Emirati, sino ai duellanti Haftar e Al – Serraj.

Spazio versus tempo: il sogno - miraggio del meticciato e il paesaggio segnato dai confini etnici. La sabbia no-limit dei deserti e quella contingentata della clessidra. In tale contesto lo storico documento su fratellanza e uguaglianza dei diritti tra i figli di Abramo, sottoscritto ad Abu Dhabi con il Grande Imam di Al – Azhar, sta come il cammello del Vangelo, ingombrante ma profetico, nella cruna dell’ago metaforica e geografica del Golfo Persico.

Mentre la Realpolitik riemerge come Atlantide, una immensa enorme Atlantide, a occupare gli spazi e dividere in zone d’influenza il Mare Nostrum: tra sultani di ritorno e satrapi eterni, conflitti per procura e flotte d’altura, contractor russi e kamikaze jihadisti, blocchi navali e rischi fatali.

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