religione

La follia della Verità della Croce in San Francesco

Antonio Tarallo
Pubblicato il 14-09-2019

un legame che nasce da quell’incontro-spartiacque della vita del giovane Francesco con la Croce di San Damiano

La Croce e San Francesco. Legame stretto quello che unisce il Santo di Assisi alla Croce del Signore, un legame che nasce da quell’incontro-spartiacque della vita del giovane Francesco con la Croce di San Damiano. Tramuterà la sua vita e non solo. L’intera Chiesa, grazie a quell’incontro di San Damiano – che un po’ tutti conosciamo – non sarà più la stessa. L’attenzione e venerazione della Croce da parte del Poverello di Assisi, l’alter Cristus, diverrà il leitmotiv di una intera esistenza al servizio del Vangelo, dei fratelli, degli ultimi. I chiodi sulle mani del Cristo sofferente sul sacro legno diventano per Francesco, lo squarcio netto nella sua vita. Feritoie che lasciano spazio alla Luce nel suo cuore. La contemplazione del volto di Cristo sulla Croce, non è solo “pia pratica”, o “strumento” per un misticismo fine a sé stesso. Per San Francesco, l’incontro con il Crocifisso, diviene una “pratica” sì, ma non solo “pia”, bensì “quotidiana”. E’ come se il Cristo si fosse staccato dalla Croce, e avesse abbracciato l’Umanità intera, nuovamente, come quel giorno sul Golgota.

“Un giorno era uscito nella campagna per meditare. Trovandosi a passare vicino alla chiesa di San Damiano, che minacciava rovina, vecchia com’era, spinto dall’impulso dello Spirito Santo, vi entrò per pregare. Pregando inginocchiato davanti all’immagine del Crocifisso, si sentì invadere da una grande consolazione spirituale e, mentre fissava gli occhi pieni di lacrime nella croce del Signore, udì con gli orecchi del corpo una voce scendere verso di lui dalla croce e dirgli per tre volte: «Francesco, va' e ripara la mia chiesa che, come vedi, è tutta in rovina!». All’udire quella voce, Francesco rimane stupito e tutto tremante, perché nella chiesa è solo e, percependo nel cuore la forza del linguaggio divino, si sente rapito fuori dei sensi. Tornato finalmente in sé, si accinge ad obbedire, si concentra tutto nella missione di riparare la chiesa di mura, benché la parola divina si riferisse principalmente a quella Chiesa, che Cristo acquistò col suo sangue, come lo Spirito Santo gli avrebbe fatto capire e come egli stesso rivelò in seguito ai frati”. E’ sempre importante ricordare l’episodio del Crocifisso di San Damiano, raccontato magistralmente nella Leggenda Maggiore di San Bonaventura. E’ importante per due motivi: non solo per fare memoria storica di quell’incontro, ma anche – e soprattutto – per coglierne l’essenza profonda, sempre viva nell’Ordine francescano, e cioè quella dell’incontro dello sguardo di Francesco con quello del Cristo crocifisso. L’incontro. L’amore di San Francesco per la Croce passa per uno sguardo: “e mentre fissava gli occhi pieni di lacrime nella croce del Signore”, così ci dice San Bonaventura. Poco dopo Francesco incontrerà altri sguardi, e l’incontro sarà ancor più “vivo”, senza nulla togliere – sia chiaro – all’incontro con la Croce. I passi di Francesco troveranno per la strade, per i villaggi, per le città, altri crocifissi. Questa volta non di legno, bensì – come si suol dire – “in carne ed ossa”. Sarà la “carne” – importante il concetto della “carne”, il sacerdote ricorda sull’altare “questo è il mio corpo” – dei lebbrosi, dei sofferenti, di chi “vive” la croce non in alto, sopra un altare, ma nelle pieghe – o meglio – nelle piaghe della propria vita.

Essere a fianco di chi non può dare nulla in cambio, se non le proprie sofferenze, le proprie croci, appunto. Insegnamento, questo, che nasce dall’incontro di Francesco con la Croce. E tutto ciò appariva più che paradossale all’epoca, e risulta maggiormente “folle” nel mondo di Oggi, in cui sembra quasi surreale prestare semplicemente attenzione al prossimo. Lo aveva espresso bene il filosofo Nietzsche: “La fede nella croce assomiglia straordinariamente ad un continuo suicidio della ragione”. E’ vero. E San Francesco, lo sapeva bene visto il suo essere passato alla Storia come un “matto”, un fool come direbbero gli inglesi. La definizione in lingua britannica, forse, potrebbe rendere meglio l’idea, perché – e il teatro elisabettiano ce ne dà un magnifico esempio – il fool è colui che dice la verità. San Francesco, dal momento in cui incontra il Crocifisso di San Damiano, sarà il “matto” che farà della sua stessa vita, una testimonianza di Verità, dicendo la Verità, vivendo la Verità. La Verità del Vangelo.



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