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Medio Oriente, Padre Patton: quello dei rifugiati è realmente un dramma

Redazione Ansa - UFFICIO STAMPA UNICEF
Pubblicato il 20-08-2019

Cosa accadde 800 anni fa, quel giorno a Damietta, quando San Francesco incontrò il Sultabi al-Maliki al-Kamil?

Cosa accadde 800 anni fa, quel giorno a Damietta, quando San Francesco si incontrò con il Sultabi al-Maliki al-Kamil? Ad interrogarsi è la mostra centrale di quest’anno al Meeting di Rimini, "Francesco e il Sultano 1219-2019”, promossa dallo stesso Meeting con la Custodia di Terra santa e la ong ATS Pro Terra Sancta. Con video, materiali storici e archeologici, l'esposizione spinge anche ad interrogarsi sulle possibilità ed il valore del dialogo. Intervistato a margine della mostra padre Francesco Patton, custode di Terra Santa, si sofferma sulla situazione locale, a partire dai palestinesi, sulle migrazioni nell’area e la vita dei cristiani.

R. – In questo momento, direi che quello che si respira è una certa stanchezza, soprattutto nel mondo palestinese. Si vede che c’erano grandi attese, coltivate per decenni che si sono via via affievolite, e sono rimaste sostanzialmente frustrate.



Le migrazioni all’interno della Siria, della Giordania, del Libano …

R. – In Siria, oltre metà della popolazione non vive più lì dove viveva prima dell’inizio del conflitto. La maggior parte dei cristiani ha lasciato il Paese: dei due milioni e 200 mila che c’erano prima della guerra, ne sono rimasti forse 700 mila. E’ vero che adesso qualche famiglia sta tornando, ma è anche vero che famiglie continuano a lasciare. In Giordania c’è un grosso numero di rifugiati che, prima di essere i siriani, erano gli iracheni, quindi si stima sui due milioni; in Libano, anche più o meno le stesse cifre, però più diffusi sul territorio. I rifugiati, poi, li troviamo naturalmente in Turchia, li ritroviamo perfino – ad esempio – sull’Isola di Rodi che è un po’ come Lampedusa, un punto di approdo; e da lì vengono smistati altrove. Quello dei rifugiati è realmente un dramma di cui ci si rende conto solo se si vede di persona che cosa significa vivere da rifugiati: significa essere totalmente sradicati e significa non avere possibilità di lavoro, non avere certezze per il futuro per sé e per le proprie famiglie, significa in molti casi non avere la possibilità, ad esempio, di mandare regolarmente i figli a scuola … Il rifugiato è come se vivesse in una specie di limbo dove non sa per quanto tempo ancora dovrà resistere e sperare.



I pellegrinaggi in Terra Santa proseguono?

R. – Proseguono; anzi, direi che negli ultimi tre anni hanno visto una crescita costant: dal 2016 al 2019 possiamo dire che sono praticamente raddoppiati i pellegrini che vengono in Terra Santa. Naturalmente questo per noi vuol dire uno sforzo in più dal punto di vista dell’accoglienza, uno sforzo in più anche dal punto di vista dell’adeguamento delle strutture per potere anche semplicemente accogliere gruppi con esigenze particolari. Ma questo vuol dire anche un grande beneficio per la popolazione cristiana locale che vede che i cristiani di tutto il mondo vengono a questa terra dalla quale spesso i cristiani sono tentati di andarsene, ed è anche un beneficio economico perché molti cristiani lavorano, di fatto, nell’indotto del pellegrinaggio.



La vita dei cristiani è altrettanto complicata?

R. – Direi che in Giordania e in Libano, la vita dei cristiani è abbastanza buona. Non ci sono problemi dal punto di vista di persecuzione o altre cose. La vita dei cristiani in Siria è problematica per la situazione della guerra, perché di fatto la Siria era il Paese del Medio Oriente dove i cristiani erano più accettati e dove c’era anche una maggiore “integrazione” tra cristiani e musulmani, e tra musulmani di varie appartenenze religiose. (Luca Collodi - Vatican News)


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