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Dalle macerie della guerra, il grido della speranza

Padre Enzo Fortunato ANSA/ALESSANDRO DI MEO
Pubblicato il 07-03-2021

Chi odia tradisce la fede, chi ama la vive. Il nostro reportage della visita di papa Francesco in Iraq, in collaborazione con Huffington Post

Mosul, Iraq. È l'ultima giornata. Oggi papa Francesco visita il nord del Paese, tra il Kurdistan iracheno e la piana di Ninive: Mosul, Qaraqosh ed Erbil.

Nella prima città ha pregato per le vittime delle guerre, in chiese sfregiate, dove la violenza aveva cancellato i simboli religiosi, sostituiti dai nomi dei terroristi dell'Isis. Quando padre Samir me li mostrò dicendomi che alcuni erano europei, fui attraversato da un sentimento di stordimento.
Oggi il papa sta qui per ripetere che chi odia tradisce la fede, qualunque essa sia. “Qui a Mosul le tragiche conseguenze della guerra e dell'ostilità sono fin troppo evidenti. Come è crudele che questo Paese, culla di civiltà, – afferma Francesco – sia stato colpito da una tempesta così disumana, con antichi luoghi di culto distrutti e migliaia e migliaia di persone, musulmani, cristiani, yazidi, che sono stati annientati”.

A piazza delle Chiese, dove si è svolto l'incontro, sono ancora visibili le macerie della guerra. La città, blindata da esercito e polizia, porta i segni della devastazione. Solo Piazza delle Chiese, vede la presenza di tante persone, tutte rigorosamente registrate. “Oggi, malgrado tutto, riaffermiamo la nostra convinzione che la fraternità è più forte del fratricidio, che la speranza è più forte della morte, che la pace è più forte della guerra”. È il grido di speranza di Bergoglio.

La seconda tappa, Qaraqosh, per incontrare i cristiani che erano stati cacciati dalle loro case. La chiesa dell'Immacolata Concezione era stata usata come poligono di tiro dai miliziani dell'Isis e i segni dei proiettili sono ancora lì. Qui oggi alle 12 il papa recita l'Angelus. Qui si è consumato il più grande esodo biblico dei nostri giorni e Francesco ha già fatto comprendere senza mezzi termini “il tragico ridursi dei discepoli di Cristo, qui e in tutto il Medio Oriente è un danno incalcolabile, non solo per le persone e le comunità interessate, ma per la stessa società che si lasciano alle spalle”.
Bergoglio ha denunciato come il “tessuto culturale e religioso così ricco dalle diversità è indebolito dalla perdita di uno qualsiasi dei suoi membri, per quanto piccolo”.

La giornata sarà conclusa ad Erbil, in Kurdistan, con la messa allo stadio. Qui il papa non solo toccherà i luoghi feriti, ma direttamente i cristiani feriti. Ascolterà le loro storie. Francesco ci fa comprendere che la fede non si nutre di sangue, di orrore e di idee malate, ma ci invita a percorrere due strade. Per l'Occidente, che è più libero, con l'onestà intellettuale di dire le cose come stanno, di chiamarle con il loro nome. E nei luoghi delle persecuzioni, con il coraggio dell'esempio. Erbil, questa zona martoriata, questo lembo di terra bagnato dal sangue, di fatto rappresenta il luogo per risorgere e ricominciare. Grazie anche a una comunità molto dinamica.

In questi giorni diverse agenzie rilanciano i dati drammatici del Foreign Office britannico. Senza mezzi termini, un terzo della popolazione mondiale “soffre in qualche misura di persecuzione religiosa”. E i cristiani sono “il gruppo di perseguitati più numeroso”. Al primo posto della black-list c'è la Corea del Nord, dove le retate della polizia continuano e si stimano tra i 50 e i 70mila cristiani detenuti nei campi di lavoro per motivi legati alla fede. Kim Jong un cambia comunicazione, ma non stile.
Subito dopo il Medio Oriente. Ma l'Iraq ora, con il viaggio di papa Francesco, potrebbe e dovrebbe segnare una svolta, per far sì che questa visita non sia avvenuta invano.

di Enzo Fortunato

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