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Solidarietà. Alla Caritas la povertà, italiana e straniera, trova ascolto

Redazione Avvenire
Pubblicato il 13-06-2019

Una rete capillare sul territorio, forte di 3.368 sportelli. Orecchie attente e cuori aperti, per farsi carico delle mille fragilità dell’Italia che ha il fiato corto: per coinvolgere le comunità ecclesiali, per indirizzare gli utenti ai servizi ecclesiali, per fare squadra con le organizzazioni di volontariato e i servizi pubblici. Eccoli, i Centri di ascolto Caritas, presenza vitale per oltre 5 milioni di poveri, italiani e stranieri, "prima linea" della solidarietà ecclesiale che negli ultimi vent’anni ha raddoppiato le forze in campo. Ora, dalle linee guida stilate nel 1999, la rete dei Centri di ascolto Caritas può contare su un articolato vademecum operativo, presentato ieri alla due giorni dell’incontro nazionale della rete.

 

I Centri di ascolto Caritas, presenti praticamente in tutte le diocesi italiane, si articolano in centri diocesani, zonali o parrocchiali. Dal 1999, data dell’ultimo convegno nazionale, sono quasi raddoppiati. Nel 2018 hanno realizzato 208.391 interventi di ascolto, orientamento, consulenza. Attivando, presso i servizi collegati, 1 milione e 17 mila 960 erogazioni di beni e servizi materiali (viveri, vestiario, prodotti per l’igiene personale, buoni pasto), cui vanno aggiunti 175.685 interventi di accoglienza residenziale.

I volontari dei Centri di ascolto offrono orientamento, con funzioni di segretariato sociale a chiunque si trovi in difficoltà. Se fino a pochi anni fa gli stranieri erano circa i due terzi, ora le percentuali si sono livellate: secondo il Rapporto Caritas 2018 sulle povertà, gli "utenti" italiani sono il 42,2%, quelli stranieri il 57,8%. «Con ogni probabilità sono gli effetti dell’onda lunga della crisi», spiega Renato Marinaro, responsabile del servizio promozione di Caritas italiana. Famiglie italiane che crollano, insomma, dopo avere resistito per alcuni anni ai contraccolpi della congiuntura economica. Magari consumando i risparmi.

 

«Nel Meridione gli italiani che si presentano nei Centri di ascolto sono sempre stati più degli stranieri – spiega Marinaro – sia per le peggiori condizioni economiche del Sud, sia per la minore presenza di immigrati che risiedono soprattutto al Nord dove c’è più lavoro».

 

Il nuovo Vademecum dei Centri di ascolto, consultabile sul sito di Caritas italiana, fornisce indicazioni operative e strutturali: «I Centri in questi anni hanno sviluppato una pluralità di modelli, anche in base alle caratteristiche dei territori. Ma devono comunque mantenere un identikit comune, un minimo comun denominatore». Ed è questo l’obiettivo del Vademecum.

 

Il primo dei tratti distintivi del Centro di ascolto Caritas deve essere «il legame con la comunità ecclesiale» locale, vista la natura di organismo pastorale della stessa Caritas. Poi c’è il «lavoro di rete», che si indirizza sia verso le diverse realtà della Chiesa che con le risorse sul territorio: quelle del volontariato, confessionale e non, quelle dei servizi socio-sanitari pubblici. Stile peculiare dei Centri deve essere quindi la «presa in carico e l’accompagnamento» di chi arriva per chiedere aiuto, con progetti personalizzati per ogni singolo "utente". Altrettanto importante per l’efficienza del Centro è la «cura di chi si prende cura»: indispensabile la formazione costante degli operatori, «perché il tasso di stress è alto – dice il responsabile del Servizio promozione – e i volontari vanno motivati ma allo stesso tempo non possono farsi coinvolgere emotivamente in modo eccessivo.

 

Fondamentale poi è la «raccolta dei dati» sugli "utenti": «Abbiamo specifici software con schede standard e campi obbligatori: dati preziosi che ci servono a monitorare le situazioni di povertà e fare pressing sull’opinione e sugli amministratori pubblici». Dalla due giorni appena conclusa, organizzata per gruppi di lavoro, «è emersa la necessità di andare oltre il modello del centro di ascolto, andando a scovare le povertà dove si nascondono. Gli anziani fragili, ad esempio». Centri di ascolto «in uscita», insomma.

Dall’incontro nazionale «è emersa una forte domanda di formazione, ma allo stesso tempo anche la consapevolezza di essere generatori di cambiamento, quando le persone vengono prese in carico coinvolgendo le comunità locali: «Ci sono Centri di ascolto, ad esempio, che hanno organizzato incontri itineranti tra parrocchiani e immigrati per sgretolare il muro della diffidenza».


Luca Liverani, Avvenire 


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