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Il ruolo dell'informazione nella società e nella Chiesa

Antonio Tarallo
Pubblicato il 03-10-2022

A colloquio con Fabio Bolzetta: San Francesco, l’influencer di Dio

San Francesco influencer della sua epoca: in fondo, si potrebbe, oggi, definire così - influencer - il fondatore dell’Ordine francescano. Basterebbe pensare al suo modo di concepire la comunicazione, del tutto originale per il 1200: dal pulpito alle piazze, alle agorà, per essere vicino alla gente e per la gente. Avveniva così che le parole non rimanevano più racchiuse nelle mura di una chiesa, ma viaggiavano libere all’aria aperta, perché la Parola delle parole è di tutti, non - certo - di un ristretto gruppo di persone.

Oggi, davanti a noi, si aprono altre piazze rispetto a quelle di Francesco d’Assisi, ben più ampie: sono le finestre di Facebook; sono le immagini di Tik Tok; sono i tweet che con i loro cinguettii animano la foresta del mondo digitale. E a riflettere su questo panorama sconfinato di nuove vie di comunicazione, ci ha pensato Fabio Bolzetta, giornalista inviato di Tv2000, presidente di WeCa (Associazione dei Webmaster Cattolici Italiani), con il suo ultimo libro “La Chiesa nel digitale”, edito dalla Tau Editrice, con la preziosa e prestigiosa prefazione di Papa Francesco. San Francesco patrono d’Italia, in occasione della festa del 4 ottobre, lo ha intervistato, affrontando uno dei temi più importanti per il mondo della comunicazione d’oggi: il rapporto della società e della Chiesa con i nuovi mezzi di comunicazione.



Da tempo, come giornalista, si dedica al ruolo di internet nella comunicazione. Il libro che ha dato alle stampe e che sta riscuotendo successo da più parti del mondo analizza proprio questo mondo così vasto e affascinante del web. Ma come nasce Fabio Bolzetta comunicatore della Chiesa, e - soprattutto - come nasce questa particolare dedizione ai nuovi strumenti di informazione?
Non posso non andare con la memoria alla prima “scintilla”, a quella che si potrebbe definire, in fondo, “chiamata”: già ero impegnato nel percorso di studi di Scienze della Comunicazione alla LUMSA di Roma, dove ora svolgo attività accademica. In quel periodo si stava preparando la Giornata mondiale dei giovani: quella che rimarrà alla storia come la famosa GMG di San Giovanni Paolo II a Tor Vergata, del 2000. Chiamarono un gruppo di studenti per collaborare all’ufficio stampa del comitato organizzativo. Fra quei ragazzi c’ero anche io. E, con grande commozione, ricordo ancora benissimo che ai piedi della grande croce, ho sentito che poteva essere quella la mia strada, la mia missione-vocazione: comunicare il Messaggio della Chiesa, attraverso i mezzi d’informazione. Fui colpito dal modo di comunicare di San Giovanni Paolo II: anche se già provato nel fisico, con quei suoi gesti semplici, riusciva ad arrivare a tutti. Quei gesti, quel volto, hanno segnato la mia vocazione: vivere la comunicazione nell’ambito cattolico! Da quel giorno in poi sono venute le mie prime esperienze giornalistiche, con l’entrata poi in Sat2000: da vent’anni lavoro in questa bellissima realtà promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana come fosse il primo giorno. E, proprio intorno alla fine degli anni '90, cominciano a sorgere le tante realtà della rete: a cavallo di quella mia prima esperienza. Così, pian piano, vengo coinvolto in questo nuovo modo di comunicare per raccontare, fino ad arrivare alla nascita dell’associazione WeCa del 2003.

Quali sono, per lei, le regole per un buon comunicatore della Chiesa?

Direi tre, soprattutto, che si possono condensare in altrettante parole chiave: presenza, onestà e ascolto. L’ascolto è indispensabile, è un elemento fondamentale, imprescindibile di ogni relazione: un ascolto che si fa arricchimento - io lo trovo indispensabile nella mia vita come comunicatore e come uomo - perché ognuno ha da insegnarti qualcosa, ad ogni livello. Onestà: altra parola importantissima per un buon comunicatore. Sappiamo bene quanto un montaggio di immagini o un articolo possa condizionarne il contenuto e così influenzare il pubblico. Noi, al servizio dell’informazione, abbiamo il potere e la responsabilità di scegliere e dosare al meglio le parole che usiamo: in fondo, siamo dei sarti delle immagini o delle parole che hanno in questo lavoro una responsabilità bisogna cucire bene il tutto per trasmettere, al meglio, il messaggio che ci viene affidato. La presenza: abbiamo vissuto un periodo - quello della pandemia - che ha cambiato le regole. Questa condizione ci ha cambiati, come ha osservato Papa Francesco, e dobbiamo prendere il meglio di noi stessi, cercando di capire quali sono state le criticità per migliorare. Sicuramente la presenza ci è mancata e penso che sia un momento importante per fare informazione: va ripresa perché nella presenza, nel dialogo profondo, nello scambio di idee e dal confronto possono giungere riflessioni e idee capaci di rendere questo lavoro migliore.

 

Presenza, incontro. Viene in mente, allora, il nostro San Francesco d’Assisi che per le vie annunciava la bellezza del Messaggio evangelico: incontra le persone nelle piazze, nelle strade. Oggi, sempre più, ci si incontra nel web. Una parola su tweet diviene messaggio, un video su tik tok, notizia. Quali parole sceglierebbe, San Francesco, quali hashtag per comunicare al mondo, il mondo della Chiesa?

San Francesco è andato molto lontano, ha raggiunto un altro continente. Il digitale è un altro continente, un ambiente dove la gente abita. E penso proprio che sarebbe lì presente ad utilizzare alcuni hashtag: parole come - ad esempio - “condividere”, sicuramente; “essere esempio”, lui che è stato esempio per tutti, testimonianza concreta; e, poi, altra parola, è “scoprire”, scoprire la bellezza della fede, farla conoscere e condividerla con tutti. Quest’ultima azione - questo verbo, scoprire - guardando ai giorni d’oggi, ha bisogno però di una precisazione: nel nostro mondo così interattivo, nasconde però anche delle ombre, oltre a riflettere luci, ovviamente. La vocazione più naturale dello scoprire è quella che si avvicina a quella dello sguardo di un bambino che cerca di scorgere la bellezza della vita: la scoperta è anche una spinta a sapere di più. Ed è in questo caso che veniamo anche alle ombre che può contenere: oggi, si aprono troppe fonti allo sguardo del lettore che vuole “scoprire”; ma non sempre arriva a riconoscere quelle vere dalle false: sto parlando delle fake news, naturalmente. Scoprire va bene, ed è affascinante, ma è importante porre attenzione a chi rivolgersi: a quali fonti attingere per conoscere. E per fare questo, penso, ci sia bisogno di formazione. L'associazione WeCa che ho l’onore di presiedere, fra i suoi obiettivi, cerca proprio di fare ciò: formare per poter scoprire e, dunque, conoscere. I Tutorial di WECA stanno per “dare il cinque”, con l’avvio in questi giorni della quinta stagione degli appuntamenti video di formazione settimanali su Chiesa, comunicazione e digitale con oltre 150 video su www.weca.it già a disposizione di tutti.

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