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Filosofia, una sorgente di libertà

Umberto Curi Pubblico dominio
Pubblicato il 23-11-2020

Davvero non serve a nulla?

Che la filosofia non serva a nulla non è un' affermazione nuova. Lo riconosce già Aristotele, anticipando l' obiezione del suo interlocutore. Al quale egli tuttavia ribatte che la filosofia è la più nobile delle scienze non malgrado , ma proprio perché «non serve a nulla», ossia perché non ha quel vincolo di «servitù» che altrimenti la renderebbe subordinata, e dunque inferiore rispetto ad altre.

D' altra parte, la contestazione della sostanziale «inutilità» della filosofia era destinata a riproporsi più volte dopo Aristotele, fino a trovare la sua espressione forse più compiuta in Karl Marx. Nell'undicesima delle Glosse a Feuerbach , si ritrova l' atto di accusa più esplicito e per certi aspetti definitivo. «I filosofi - scrive infatti Marx - si sono finora limitati a interpretare il mondo. Si tratta ora di cambiarlo». L'alternativa non potrebbe essere più netta. Da un lato, un attitudine meramente contemplativa, di mera registrazione della realtà, implicitamente colpevole di accettarne senza battere ciglio le iniquità, gli squilibri e le contraddizioni. Dall'altro lato, una perentoria esigenza di trasformazione, che non può essere consegnata al lavoro di semplice, quanto inerte, interpretazione, ma deve concretizzarsi nella capacità di cambiare il mondo.

Il trionfo delle scienze, lungo il corso del XX secolo, doveva poi infliggere il colpo di grazia a un sapere filosofico sempre più condannato all' ineffettualità. Per dirla in termini rozzi, mentre con le poche pagine del saggio di Albert Einstein sulla relatività speciale si è andati sulla luna, con le centinaia di pagine di Essere e tempo di Martin Heidegger non si può andare da nessuna parte. Quale ruolo può ancora essere riconosciuto a una forma di ricerca intellettuale che si fa un vanto di non approdare ad alcuna conclusione incontrovertibile, che anzi esibisce con fierezza la sua intrinseca mancanza di utilità?

All'esecuzione capitale, invocata da numerosi esponenti del pensiero contemporaneo, la filosofia può sottrarsi ove si percorrano due strade. La prima è quella descritta in un celebre saggio da Gilles Deleuze e Félix Guattari. A loro avviso, la filosofia non è contemplazione, come per molto tempo si è ritenuto, perché la contemplazione, anche dinamica, non è creativa, ma consiste nella visione della cosa stessa, considerata preesistente e indipendente, rispetto all' atto del contemplare. Non è neppure comunicazione, come sostengono, con argomentazioni diverse, due figure emblematiche della filosofia contemporanea, Jürgen Habermas e Richard Rorty, dai quali viene la prospettiva di una «conversazione democratica». Infine, la filosofia non è riflessione, semplicemente perché la riflessione non è specifica dell' attività filosofica, visto che a chiunque, e non solo al filosofo, è possibile riflettere su ogni cosa.

Viceversa, se la filosofia è concepita come attività di creazione concettuale, perde ogni senso la questione sempre discussa della utilità della filosofia perché «quando è il momento di creare dei concetti, l'operazione che ne consegue si chiamerà sempre filosofia, anche se le si desse un altro nome». Ma vi può essere anche una seconda strada, per certi aspetti complementare, rispetto a quella citata. L'accusa di inutilità accompagna la filosofia fin dalle sue origini. Si ricorda, ad esempio, che già il protofilosofo Talete, per allontanare da sé questo biasimo, ricorse ad un astuto espediente, che gli consentì di realizzare un cospicuo guadagno, dimostrando in tal modo che, se volessero, i filosofi potrebbero facilmente arricchirsi. È rimasto celebre, inoltre, il brano in cui Seneca sottolinea che l' utilità della filosofia «non consiste nelle parole, ma nei fatti. Educa e forma l' animo, regola la vita, governa le azioni, mostra ciò che si deve e non si deve fare, siede al timone e dirige la rotta attraverso i pericoli di un mare agitato». Senza dimenticare l' orgogliosa rivendicazione di Baruch Spinoza, secondo cui la filosofia non è un rimedio alla debolezza, ma piuttosto un' espressione di potenza.

A risultati ancor più convincenti si può pervenire non già contestando, ma piuttosto «prendendo sul serio», e conducendo alle sue conseguenze più rigorose, la tesi dell' inutilità della filosofia. È vero, la filosofia non è «utile», perché non si realizza nel consumo . Al contrario, in un mondo dominato in maniera quasi esclusiva dalla ricerca di cose utili , la filosofia trova la sua specifica individuazione nel non essere soggetta al dispotismo dell' uso , alla tirannide dei consumi . E torna in mente un passaggio del dialogo platonico Teeteto. Il filosofo può avere l'aria del buono a nulla quando gli tocchino uffici servili, come mettere insieme un bagaglio per il viaggio o preparare buone vivande o raffinati discorsi. Ma egli è anche colui che può «gettarsi indietro su la destra il mantello, come si addice a persona libera».  (Corriere della Sera)

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