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Quando il Cardinale Koch ad Assisi parlò di percorsi di verità e pace

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Benedetto XVI ha convocato una Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo in occasione del 25° anniversario del primo Incontro interreligioso per la preghiera per la pace. Il 27 ottobre non potrà essere, però, una semplice replica dell’indimenticabile iniziativa intrapresa dal beato Giovanni Paolo II nel 1986, anche e soprattutto perché in questi venticinque anni il mondo è molto cambiato. La svolta più incisiva verificatasi nel frattempo è senza dubbio la fine dei regimi oppressivi comunisti nei Paesi oltrecortina, che ha mutato radicalmente la cartina esterna e interna dell’Europa e che è stata definita dall’allora cardinale Ratzinger come la vittoria della verità dello Spirito e della religione: “Lo Spirito ha dato prova della sua forza; lo squillo di tromba della libertà è stato più forte del muro che la voleva limitare” (J. Ratzinger, Wendezeit für Europa? Diagnosen und Prognosen zur Lage von Kirche und Welt, 106).



La fine della cosiddetta guerra fredda, che, stando al giudizio di Mikhail Gorbaciov, non sarebbe stata possibile senza l’energia del beato Giovanni Paolo II, ha cambiato in maniera non indifferente anche la situazione ecumenica e interreligiosa.



Dal punto di vista interreligioso, dobbiamo prendere atto in primo luogo dei grandi movimenti migratori che hanno condotto a una ricca mescolanza della popolazione. Ciò significa soprattutto che le religioni diverse dalla nostra non vengono più percepite come fenomeni estranei, ma come realtà vicine, che sperimentiamo quotidianamente e che, nell’incontro con gli altri credenti, assumono un volto personale. Questo è vero in particolar modo per l’Islam. Il dialogo interreligioso è dunque indispensabile per il prosperare di una convivenza pacifica nella società odierna. Questa nuova situazione interreligiosa ha fatto si che la religione, spesso considerata dall’opinione pubblica come un fattore irrilevante o addirittura fastidioso, da relegare ai margini della vita sociale, sia tornata a essere un tema all’ordine del giorno nel dibattito pubblico. Tale sviluppo va letto come un fatto incoraggiante, poiché una società che si chiude al divino è una società incapace di condurre un dialogo interreligioso, come ha chiaramente osservato Benedetto XVI nel suo famoso discorso del 2006 presso 1’Università di Regensburg, in Germania: «Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell’ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture».



L’incontro di Assisi del 27 ottobre 2011 si ricollega a tale aspetto fondamentale. Esso prende atto soprattutto del fatto che le grandi speranze di pace sorte a seguito del crollo dei regimi comunisti nel 1989 hanno cominciato a vacillare a causa dei successivi sviluppi, poiché il terzo millennio è stato segnato fin dall’inizio da una spaventosa recrudescenza di violenza e da spietati atti di terrorismo che non accennano a finire.

In questa situazione, Benedetto XVI ritiene cruciale che le varie Chiese e comunità cristiane e i rappresentanti delle altre religioni diano nuovamente una testimonianza credibile e convinta a favore della pace e della giustizia nel mondo di oggi.



Tutti i partecipanti sono invitati a un impegno personale nel dichiarare pubblicamente e nell’adoperarsi affinché la fede e la religione non s’imparentino in nessun modo con l’ostilità e la violenza, ma si accordino con la pace e la riconciliazione.

Ecco allora risplendere il vero motivo per cui il Papa ha scelto il riferimento al pellegrinaggio per l’incontro di Assisi, definendone il tema: Pellegrini della verità, pellegrini della pace. La pace è possibile soltanto là dove gli uomini, come autentici ricercatori di Dio, si mettono in cammino verso la verità. La pace, infatti, risiede nella verità, come ha sottolineato già Benedetto XVI nel suo primo Messaggio per la Giornata mondiale della pace nel 2006: «Dove e quando l’uomo si lascia illuminare dallo splendore della verità, intraprende quasi naturalmente il cammino della pace».



La storia mostra a sufficienza che il vero incontro delle religioni è possibile non se si rinuncia alla verità, ma se si entra in essa profondamente. Alla luce di questa considerazione fondamentale, l’incontro di Assisi dovrebbe essere in primo luogo “una giornata di riflessione”. La riflessione sulla pace può produrre frutti nella ricerca comune della sua verità. Ecco perché il secondo termine che descrive l’incontro di Assisi è “giornata di dialogo”. Poiché la pace, secondo l’origine ebraica del termine shalom, è in primo luogo un saluto, una parola di relazione, la riflessione sulla pace può avvenire soltanto nel dialogo, nello scambio tra credenti che discutono insieme di come hanno trovato la radice più profonda della pace nell’incontro con Dio. Per i credenti, infine, è naturale che una “giornata di riflessione e di dialogo” sia anche una “giornata di preghiera” per la pace. Nella preghiera noi incontriamo anche il fulcro più profondo della pace, ovvero la pace del singolo individuo con Dio.



Una simile “giornata di preghiera” non deve naturalmente essere fraintesa come un atto sincretistico. Piuttosto, ogni religione è invitata a rivolgere a Dio quella preghiera che corrisponde alla sua credenza specifica. Secondo la fede cristiana, la pace, a cui tanto anelano gli uomini di oggi, proviene da Dio, che ha rivelato in Gesù Cristo il sue disegno originario, ovvero il fatto di averci “chiamati alla pace” (1 Corinzi 7, 15).

La lettera ai Colossesi dice che questa pace ci viene donata tramite Cristo, “con il sangue della sua croce” (1, 20). Poiché la croce di Gesù cancella ogni desiderio di vendetta e chiama tutti alla riconciliazione, essa si erge sopra di noi come il permanente e universale Yom Kippur, che non riconosce altra “vendetta” se non la croce di Gesù, come ha affermato Benedetto XVI con parole molto profonde, il l0 settembre 2006 a München: «La sua “vendetta” è la Croce; il “No” alla violenza, “l’amore fino alla fine”».



Come cristiani, non veniamo certamente meno al rispetto dovuto alle altre religioni, ma al contrario le cementiamo, se, soprattutto nel mondo di oggi in cui violenza e terrore sono usati anche in nome della religione, professiamo quel Dio che ha posto di fronte alla violenza la sua sofferenza e ha vinto sulla croce non con la violenza, ma con l’amore. Pertanto, la croce di Gesù non è di ostacolo al dialogo interreligioso; piuttosto, essa indica il cammino decisivo che soprattutto ebrei e cristiani, ma anche musulmani e seguaci di altre religioni, dovrebbero accogliere in una profonda riconciliazione interiore diventando così fermento di pace e di giustizia nel mondo.

Affinché l’incontro di Assisi possa essere un passo fondamentale in questa direzione, rivolgiamo a Dio la nostra preghiera mentre ci prepariamo a questa grande e bella iniziativa voluta da Benedetto XVI.

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