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Preti pedofili: un panico morale

Massimo Introvigne
Pubblicato il 30-11--0001



Perché si ritorna a parlare di preti pedofili, con accuse che si riferiscono alla Germania, a persone vicine al Papa e ormai anche al Papa stesso? La sociologia ha qualche cosa da dire o deve lasciare libero il campo ai soli giornalisti? Credo che la sociologia abbia molto da dire, e che non debba tacere per il timore di scontentare qualcuno. La discussione attuale sui preti pedofili – considerata dal punto di vista del sociologo – rappresenta un esempio tipico di “panico morale”. Il concetto è nato negli anni 1970 per spiegare come alcuni problemi siano oggetto di una “ipercostruzione sociale”. Più precisamente, i panici morali sono stati definiti come problemi socialmente costruiti caratterizzati da una amplificazione sistematica dei dati reali, sia nella rappresentazione mediatica sia nella discussione politica.
Altre due caratteristiche sono state citate come tipiche dei panici morali. In primo luogo, problemi sociali che esistono da decenni sono ricostruiti nelle narrative mediatiche e politiche come “nuovi”, o come oggetto di una presunta e drammatica crescita recente. In secondo luogo, la loro incidenza è esagerata da statistiche folkloriche che, benché non confermate da studi accademici, sono ripetute da un mezzo di comunicazione all'altro e possono ispirare campagne mediatiche persistenti. Philip Jenkins ha sottolineato il ruolo nella creazione e gestione dei panici di “imprenditori morali” le cui agende non sono sempre dichiarate. I panici morali non fanno bene a nessuno. Distorcono la percezione dei problemi e compromettono l'efficacia delle misure che dovrebbero risolverli. A una cattiva analisi non può che seguire un cattivo intervento.
Intediamoci: i panici morali hanno ai loro inizi condizioni obiettive e pericoli reali. Non inventano l'esistenza di un problema, ma ne esagerano le dimensioni statistiche. In una serie di pregevoli studi lo stesso Jenkins ha mostrato come la questione dei preti pedofili sia forse l'esempio più tipico di un panico morale. Sono presenti infatti i due elementi caratteristici: un dato reale di partenza, e un'esagerazione di questo dato ad opera di ambigui “imprenditori morali”.
Anzitutto, il dato reale di partenza. Esistono preti pedofili. Alcuni casi sono insieme sconvolgenti e disgustosi, hanno portato a condanne definitive e gli stessi accusati non si sono mai proclamati innocenti. Questi casi – negli Stati Uniti, in Irlanda, in Australia – spiegano le severe parole del Papa e la sua richiesta di perdono alle vittime. Anche se i casi fossero solo due – e purtroppo sono di più – sarebbero sempre due casi di troppo. Dal momento però che chiedere perdono – per quanto sia nobile e opportuno – non basta, ma occorre evitare che i casi si ripetano, non è indifferente sapere se i casi sono due, duecento o ventimila. E non è neppure irrilevante sapere se il numero di casi è più o meno numeroso tra i sacerdoti e i religiosi cattolici di quanto sia in altre categorie di persone. I sociologi sono spesso accusati di lavorare sui freddi numeri dimenticando che dietro ogni numero c'è un caso umano. Ma i numeri, per quanto non siano sufficienti, sono necessari. Sono il presupposto di ogni analisi adeguata.
Per capire come da un dato tragicamente reale si è passati a un panico morale è allora necessario chiedersi quanti sono i preti pedofili. I dati più ampi sono stati raccolti negli Stati Uniti, dove nel 2004 la Conferenza Episcopale ha commissionato uno studio indipendente al John Jay College of Criminal Justice della City University of New York, che non è un'università cattolica ed è unanimemente riconosciuta come la più autorevole istituzione accademica degli Stati Uniti in materia di criminologia. Questo studio ci dice che dal 1950 al 2002 4.392 sacerdoti americani (su oltre 109.000) sono stati accusati di relazioni sessuali con minorenni. Di questi poco più di un centinaio sono stati condannati da tribunali civili. Il basso numero di condanne da parte dello Stato deriva da diversi fattori. In alcuni casi le vere o presunte vittime hanno denunciato sacerdoti già defunti, o sono scattati i termini della prescrizione. In altri, all'accusa e anche alla condanna canonica non corrisponde la violazione di alcuna legge civile: è il caso, per esempio, in diversi Stati americani del sacerdote che abbia una relazione con una – o anche un – minorenne maggiore di sedici anni e consenziente. Ma ci sono anche stati molti casi clamorosi di sacerdoti innocenti accusati. Questi casi si sono anzi moltiplicati negli anni 1990, quando alcuni studi legali hanno capito di poter strappare transazioni milionarie anche sulla base di semplici sospetti. Gli appelli alla “tolleranza zero” sono giustificati, ma non ci dovrebbe essere nessuna tolleranza neanche per chi calunnia sacerdoti innocenti. Aggiungo che per gli Stati Uniti le cifre non cambierebbero in modo significativo se si aggiungesse il periodo 2002-2010, perché già lo studio del John Jay College notava il “declino notevolissimo” dei casi negli anni 2000. Le nuove inchieste sono state poche, e le condanne pochissime, a causa di misure rigorose introdotte sia dai vescovi statunitensi sia dalla Santa Sede.
Lo studio del John Jay College ci dice, come si legge spesso, che il quattro per cento dei sacerdoti americani sono “pedofili”? Niente affatto. Secondo quella ricerca il 78,2% delle accuse si riferisce a minorenni che hanno superato la pubertà. Avere rapporti sessuali con una diciassettenne non è certamente una bella cosa, tanto meno per un prete: ma non si tratta di pedofilia. Dunque i sacerdoti accusati di effettiva pedofilia negli Stati Uniti sono 958 in cinquantadue anni, diciotto all'anno. Le condanne sono state 54, poco più di una all'anno.
Il numero di condanne penali di sacerdoti e religiosi in altri Paesi è simile a quello degli Stati Uniti, anche se per nessun Paese si dispone di uno studio completo come quello del John Jay College. Si citano spesso una serie di rapporti governativi in Irlanda che definiscono “endemica” la presenza di abusi nei collegi e negli orfanatrofi (maschili) gestiti da alcune diocesi e ordini religiosi, e non vi è dubbio che casi di abusi sessuali su minori anche molto gravi in questo Paese vi siano stati. Lo spoglio sistematico di questi rapporti mostra peraltro come molte accuse riguardino l'uso di mezzi di correzione eccessivi o violenti. Il cosiddetto rapporto Ryan del 2009 – che usa un linguaggio molto duro nei confronti della Chiesa Cattolica – su 25.000 allievi di collegi, riformatori e orfanatrofi nel periodo che esamina riporta 253 accuse di abusi sessuali da parte di ragazzi e 128 da parte di ragazze, non tutte attribuite a sacerdoti, religiosi o religiose, di diversa natura e gravità, raramente riferite a bambini prepuberi e che ancor più raramente hanno condotto a condanne.
Una domanda sgradevole – perché il semplice porla sembra difensivo, e non consola le vittime – ma importante è se essere un prete cattolico sia una condizione che comporta un rischio di diventare pedofilo o di abusare sessualmente di minori – le due cose, come si è visto, non coincidono perché chi abusa di una sedicenne non è un pedofilo – più elevato rispetto al resto della popolazione. Rispondere a questa domanda è fondamentale per scoprire le cause del fenomeno e quindi per prevenirlo. Secondo gli studi di Jenkins se si paragona la Chiesa Cattolica degli Stati Uniti alle principali denominazioni protestanti si scopre che la presenza di pedofili è – a seconda delle denominazioni – da due a dieci volte più altra tra i pastori protestanti rispetto ai preti cattolici. La questione è rilevante perché mostra che il problema non è il celibato: la maggior parte dei pastori protestanti è sposata. Nello stesso periodo in cui un centinaio di sacerdoti americani era condannato per abusi sessuali su minori, il numero professori di ginnastica e allenatori di squadre sportive giovanili – anche questi in grande maggioranza sposati – giudicato colpevole dello stesso reato dai tribunali statunitensi sfiorava i seimila. Gli esempi potrebbero continuare, non solo negli Stati Uniti. E soprattutto secondo i periodici rapporti del governo americano due terzi circa delle molestie sessuali su minori non vengono da estranei o da educatori – preti e pastori protestanti compresi – ma da familiari: patrigni, zii, cugini, fratelli e purtroppo anche genitori. Dati simili esistono per numerosi altri Paesi.
Per quanto sia poco politicamente corretto dirlo, c'è un dato che è assai più significativo: per oltre l'ottanta per cento i pedofili sono omosessuali, maschi che abusano di altri maschi. E – per citare ancora una volta Jenkins – oltre il novanta per cento dei sacerdoti cattolici condannati per abusi sessuali su minori e pedofilia è omosessuale. Se nella Chiesa Cattolica c'è stato effettivamente un problema, questo non è stato il celibato ma una certa tolleranza dell'omosessualità nei seminari particolarmente negli anni 1970, quando è stata ordinata la grande maggioranza di sacerdoti poi condannati per gli abusi. È un problema che Benedetto XVI sta vigorosamente correggendo. Più in generale il ritorno alla morale, alla disciplina ascetica, alla meditazione sulla vera, grande natura del sacerdozio sono l'antidoto ultimo alle tragedie vere della pedofilia. Anche a questo deve servire l'Anno Sacerdotale.
Davvero è questa un'ora di tenebre, che riporta alla mente la profezia di un grande pensatore cattolico del XIX secolo, il vercellese Emiliano Avogadro della Motta (1798-1865), secondo cui alle rovine arrecate dalle ideologie laiciste avrebbe fatto seguito un'autentica “demonolatria” che si sarebbe manifestata particolarmente nell'attacco alla famiglia e alla vera nozione del matrimonio. Ristabilire la verità sociologica sui panici morali in tema di preti e pedofilia di per sé non risolve i problemi e non ferma le lobby, ma può costituire almeno un piccolo e doveroso omaggio alla grandezza di un Pontefice e di una Chiesa feriti e calunniati perché sulla vita e la famiglia non si rassegnano a tacere.

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