Speciale Papa Francesco

MESSAGGIO PER LA XXIX GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTU' 2014. Beati i poveri in spirito, perche' di essi e' il regno dei cieli

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

"È molto triste vedere una gioventù sazia ma debole", incapace di "respingere le tante offerte a basso prezzo" che le vengono proposte. È necessario che i giovani imparino a riscoprire il coraggio della felicità, della gioia e della sobrietà. Lo scrive il Pontefice nel messaggio per la Giornata mondiale della gioventù 2014, il primo dei tre messaggi dedicati alle beatitudini evangeliche che scandiranno nei prossimi anni l'itinerario di preparazione al raduno internazionale in programma nel 2016 a Cracovia. Il Santo Padre tra l'altro annuncia la sua decisione di proclamare Giovanni Paolo II patrono delle giornate mondiali delle quali è stato l'iniziatore. Nel messaggio, il Papa ricorda ai giovani che Gesù ha mostrato il cammino da seguire, incarnando le beatitudini in tutta la sua vita: vivere le beatitudini oggi è una vera e propria sfida a seguire Cristo andando contro corrente e testimoniandone la novità rivoluzionaria. Papa Francesco spiega quindi cosa significa essere poveri in spirito, entrando nel cuore del tema della prossima Giornata: scegliere "una via di spogliazione e di povertà", quella stessa scelta da Gesù. E il Pontefice mostra come esempio da seguire su questa strada, san Francesco d'Assisi. I giovani cristiani quindi sono chiamati "ad abbracciare uno stile di vita evangelico segnato dalla sobrietà".

La prima Beatitudine, tema della prossima Giornata Mondiale della Gioventù, dichiara felici i poveri in spirito, perché a loro appartiene il Regno dei cieli. In un tempo in cui tante persone soffrono a causa della crisi economica, accostare povertà e felicità può sembrare fuori luogo. In che senso possiamo concepire la povertà come una benedizione? Prima di tutto cerchiamo di capire che cosa significa «poveri in spirito». Quando il Figlio di Dio si è fatto uomo, ha scelto una via di povertà, di spogliazione. Come dice san Paolo nella Lettera ai Filippesi: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (2,5-7). Gesù è Dio che si spoglia della sua gloria. Qui vediamo la scelta di povertà di Dio: da ricco che era, si è fatto povero per arricchirci per mezzo della sua povertà (cfr 2 Cor 8,9). E’ il mistero che contempliamo nel presepio, vedendo il Figlio di Dio in una mangiatoia; e poi sulla croce, dove la spogliazione giunge al culmine.

L’aggettivo greco ptochós (povero) non ha un significato soltanto materiale, ma vuol dire “mendicante”. Va legato al concetto ebraico di anawim, i “poveri di Iahweh”, che evoca umiltà, consapevolezza dei propri limiti, della propria condizione esistenziale di povertà. Gli anawim si fidano del Signore, sanno di dipendere da Lui.
Gesù, come ha ben saputo vedere santa Teresa di Gesù Bambino, nella sua Incarnazione si presenta come un mendicante, un bisognoso in cerca d’amore. Il Catechismo della Chiesa Cattolica parla dell’uomo come di un «mendicante di Dio» (n. 2559) e ci dice che la preghiera è l’incontro della sete di Dio con la nostra sete (n. 2560).

San Francesco d’Assisi ha compreso molto bene il segreto della Beatitudine dei poveri in spirito. Infatti, quando Gesù gli parlò nella persona del lebbroso e nel Crocifisso, egli riconobbe la grandezza di Dio e la propria condizione di umiltà. Nella sua preghiera il Poverello passava ore a domandare al Signore: «Chi sei tu? Chi sono io?». Si spogliò di una vita agiata e spensierata per sposare “Madonna Povertà”, per imitare Gesù e seguire il Vangelo alla lettera. Francesco ha vissuto l’imitazione di Cristo povero e l’amore per i poveri in modo inscindibile, come le due facce di una stessa medaglia.

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