francescanesimo

San Francesco e gli animali

Redazione
Pubblicato il 10-03-2017

Le creature intessevano con lui rapporti straordinari; gli animali, soprattutto, per quel fiuto innato di cui la natura li ha dotati

La vita di Francesco fu un canto di lode: uomo riconciliato, egli fu capace di dialogo con tutti, con i suoi simili, con gli animali e con l'intera creazione. Per questo le creature intessevano con lui rapporti straordinari; gli animali, soprattutto, per quel fiuto innato di cui la natura li ha dotati, compresero che da lui non avevano nulla da temere e gli mostrarono la loro amicizia. Potè così accadere che un leprotto che gli era stato offerto in dono, rimesso in libertà, preferì piuttosto accorrere alla sua voce che fuggire per i boschi; che un fagiano, portato in un vigneto, ritornasse a lui con insistenza, e quando fu poi dato in dono a un medico, offeso, smise di prendere cibo fino a quando non fu di nuovo condotto ai piedi dell'uomo di Dio; che un falco, alla Verna, lo svegliasse regolarmente con il suo grido quand'era l'ora della preghiera; che le rondini smettessero di garrire nel cielo per non disturbare la sua predica.

Non possiamo prendere tutto alla lettera, è vero, ma certo non manca di storicità un episodio che - molto probabilmente - fu all'origine del famoso fioretto del lupo di Gubbio. Si narra infatti che Francesco si trovò una volta a passare nei pressi dell'abbazia di S. Verecondo, presso Gubbio, quand'era ormai notte. Cavalcava un asinello ed era in compagnia di un altro frate.

Appena lo videro, i contadini lo chiamarono invitandolo a restare con loro, per non incappare nei lupi. Ma egli replicò: “Non ho mai fatto nulla di male al fratello lupo, perchè ardisca divorare il nostro fratello asino. State bene, figli, e temete Dio!”. Proseguì dunque nel suo viaggio, senza incontrare difficoltà, come riferì uno dei contadini che era stato presente al fatto.

Francesco, dunque, non temeva il lupo, perchè giudicava l'aggressività di quest'ultimo una risposta all'aggressività dell'uomo. Riteneva infatti che, qualora l'uomo non facesse alcun male (agli animali e, possiamo supporre, alle piante ed ogni altra creatura), non sarebbe neppure aggredito e l'universo tornerebbe a quella suprema armonia che regnava nel paradiso prima che i progenitori disobbedissero a Dio.

Quell'armonia che il peccato distrugge anzitutto dentro noi stessi.

di Felice Accrocca - Arcivescovo di Benevento

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