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IL FRANCESCO DELLA STORIA E I 'FRANCESCHI' DELLA STORIOGRAFIA

Franco Cardini
Pubblicato il 30-11--0001

Il Francesco della storia è uno solo, irripetibile, irraggiungibile. E, nella sua essenza più profonda, inconoscibile. Quello che possiamo conoscere è il Francesco della storiografia

Il Francesco della storia è uno solo, irripetibile, irraggiungibile. E, nella sua essenza più profonda, inconoscibile. Quello che possiamo conoscere è il Francesco della storiografia: quello che emerge dai documenti primari e dalle fonti secondarie, che gli studiosi interpretano ciascuno secondo i suoi metodi.

Dobbiamo ad Arsenio Frugoni l’averci lucidamente insegnato, in un suo celebre  saggio,  che non è corretto delineare un personaggio storico ritagliandone aspetti diversi da fonti disparate da cucire poi insieme come un patchwork. Dovremmo quindi accettare di accontentarci della scelta di un Francesco quale ci viene volta per volta solo da una fonte, senza ascoltare, diciamo così, altre campane? Ma chi ci assicura che in fondo fonti differenti non offrano un quadro più ampio e testimonianze magari compatibili con altre?

Dopo il Transito del Padre, Tommaso da Celano – che lo aveva conosciuto solo negli ultimi anni e che lo aveva visto per così dire “da lontano” – fu incaricato da frate Elia da Cortona e dal cardinale Ugo d’Ostia, poi Gregorio IX, di scrivere una Vita di colui ch’era stato elevato rapidissimamente alla gloria degli altari; anni dopo, sentite varie fonti di frati che avevano conosciuto il Povero di Assisi da vicino, redasse una seconda Vita. Poi c’erano altre fonti, altre Vite.

Nel 1266 Bonaventura da Bagnoregio, ministro generale dell’Ordine, impose la distruzione di tutte le biografie precedenti e redasse la sua Legenda maior, sulla base della quale Giotto avrebbe affrescato le pareti della basilica superiore di Assisi. Ma dovettero restare in circolazione altre versioni  di quella che Bonaventura aveva inteso ormai interpretare e far interpretare in una sola definitiva redazione. Dante ad esempio, presentando il suo “Francesco e Povertà” nell’XI del Paradiso (dove, sarà stato un caso, lo fa presentare non da Bonaventura, bensì da Tommaso d’Aquino), attinge a fonti differenti da quella offertagli dal testo bonaventuriano. E così i Fioretti, dai quali non è che l’immagine di Bonaventura esca granché bene.

E allora? Rinunziamo al giudizio? Ci affidiamo al pirronismo radicale, quello che suggerisce di sospendere per sempre il giudizio? Limitiamoci, più modestamente e caparbiamente, a continuar a studiare. Jacques Dalarun ha individuato un nuovo testo celaniano della Vita di Francesco. Forse gli studiosi debbono ancora valutarne appieno la portata: che cosa potrebbe derivare? Chiara Mercuri ha riletto con attenzione i testi lasciatici dai primi compagni di Francesco, dimostrando che quel Francesco era ben diverso da quello passato attraverso la censura-ricostruzione bonaventuriana. Insomma, gli esami non finiscono mai. Non esistono libri “definitivi”, che chiudano le questioni. La storia deve restare “opera aperta”.


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