francescanesimo

I francescani nella terra di san Benedetto

Redazione
Pubblicato il 16-05-2018

I seguaci del Poverello entarono all’interno delle secolari mura di Norcia risale al 1265, quando la piccola comunità ottenne dall’abate dell’abbazia di Sant’Eutizio la proprietà del monastero adiacente la Basilica di San Benedetto. La presa di possesso di tale prestigiosa sede non avvenne certo in modo tranquillo. La difficile situazione richiese quindi l’intervento di papa Clemente IV e del rettore del Ducato di Spoleto, Rolando da Ferentino, il quale nel 1287 riconobbe definitivamente il diritto dei monaci benedettini di risiedere nel monastero sorto sulla casa natale del loro santo fondatore Benedetto; mentre ai francescani venne offerto un altro convento annesso alla chiesa di San Bartolomeo, situato a breve distanza e anch’esso nel cuore di Norcia dove i frati conventuali dimorarono sino al 1809, quando con le soppressioni napoleoniche iniziò il declino dell’edificio.


Il terremoto del 1859 sancì poi il colpo di grazia, con la rovina del soffitto, la spoliazione e vendita di numerose opere d’arte. La chiesa fu dunque sconsacrata e dopo decenni di abbandono è stata restaurata ed adibita a partire dall’anno 2000 ad auditorium comunale. L’antico complesso di San Francesco ospitava all’interno dei locali dell’ex convento, la biblioteca civica e l’archivio storico comunale composto da oltre 1.200 pezzi. Tutto questo importante sito monumentale ha subito come l’intero patrimonio artistico dell’area gravissimi danni a causa del violento terremoto del 30 ottobre 2016 ed è in attesa dell’inizio dei lavori di restauro. A pianta rettangolare monoabsidata, come nella tradizione mendicante, la costruzione mostrava i caratteri stilistici dell’ultima stagione del gotico. Entro la lunetta del portale principale si scorge ancora un affresco forse dovuto a Bartolomeo Scarpetta, mediocre pittore locale (1496 circa).


Vi sono rappresentati la Madonna col Bambino e i Santi Francesco e Bonaventura. L’interno, a navata unica, spaziosa e slanciata era coperto da un soffitto ligneo ricordato come una vera è propria meraviglia dalle cronache di inizio XIX sec. purtroppo crollato nel 1859 e sostituito da una semplice copertura con travi lignee a vista (anch’essa crollata nel 2016). Un muro divisorio separava l’aula liturgica dall’abside (l’antico coro dei frati) dove nel 2002 venne rimontato il prezioso coro ligneo proveniente dal complesso dell’Annunziata di Norcia. Degli altari, cappelle, sculture, arredi liturgici e sepolcri, rimane pochissimo a causa delle distruzioni, alienazioni e della esposizione agli agenti atmosferici dopo il crollo della copertura una prima volta nel 1859.


Dei pochi affreschi superstiti che un tempo decoravano tutte le pareti si conserva sulla parete destra nel primo altare una grande nicchia con la Gloria di Sant’Antonio da Padova attorno a cui con curioso impianto iconografico, entro rigogliosi tralci d’acanto sono narrati miracoli del santo. L’autore dell’affresco, Giovan Battista di Giovannofrio Iucciaroni di Norcia terminò l’opera nel 1501 alla viglia della festa del santo, come recita l’iscrizione sulla parte centrale dell’opera. A commissionare l’originale pittura fu un giurista, Francesco Gentili, personaggio di spicco della vita politica della Norcia di inizio XVI secolo. Lo stile del dipinto è fortemente influenzato dalla maniera peruginesca, allora particolarmente apprezzata a Norcia come testimonia l’attività della bottega degli Sparapane. Ma il gioiello più prezioso che era conservato in San Francesco e che è stato fortunatamente recuperato senza gravi danni dopo il sisma del 2016 è la splendida pala con l’Incoronazione della Vergine realizzata da Jacopo Siculo. La fastosa macchina lignea provvista ancora della ricca cornice originale decorata a foglia d’oro fu realizzata nel biennio 1539-1541. Fu fatta realizzare dai Frati Minori Osservanti del convento dell’Annunziata di Norcia a questo giovane artista che a Roma aveva potuto fare sua la lezione del grande Raffaello. Nell’impostazione dei personaggi nella pala è chiaro il riferimento iconografico ad un soggetto che in Umbria a partire dalla pala del Ghirlandaio a Narni ebbe molto successo. Lo stesso Raffaello lo riprende nella Pala Oddi, così come Giuliano Romano lo adotterà per la Pala di Monteluce. I colori morbidi, pastosi, l’eleganza del tratto e i dettagli raffinati degli abiti e del paesaggio qualificano quest’opera come uno dei maggiori capolavori che il Rinascimento ha lasciato in Valnerina. Certo che la bellezza sia riflesso del sorriso di Dio, mi auguro che presto tutto il mondo possa tornare ad ammirare la bellezza fiorita tra i Sibillini e le valli dove San Benedetto nacque. 


di Stefano Ugolini, inviato 

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