francescanesimo

Francesco il misericordioso

Redazione online
Pubblicato il 27-02-2017

Tra i testi di Francesco d'Assisi inerenti la misericordia, oltre all'inizio del Testamento, spicca la cosiddetta Lettera a un ministro

Durante il giubileo della misericordia una particolare attenzione è stata riservata a san Francesco d'Assisi e questo certo non meraviglia perché il Pontefice ha scelto di portare il suo nome. È importante anche ricordare il famoso episodio del bacio al lebbroso. Studi recenti hanno fatto emergere sempre più che determinante nel suo cambiamento di vita fu proprio la misericordia esercitata verso i lebbrosi (cfr. Paolo Martinelli, Francesco d'Assisi e la misericordia , Milano, 2015) più che la povertà. In quest'anno non senza ragione si è affermato che sarebbe bene tralasciare la tradizionale denominazione "il poverello" per sostituirla con un più adeguato "il misericordioso".

Tra i testi di Francesco d'Assisi inerenti la misericordia, oltre all'inizio del Testamento in cui emerge la consapevolezza, pochi mesi prima di morire, dell'aspetto determinante del cambiamento di vita, spicca la cosiddetta Lettera a un ministro . In questo scritto, rispondendo a uno che aveva l'incarico di prendersi cura dei confratelli ma che davanti alle molteplici difficoltà desiderava ritirarsi in un eremo, Francesco afferma la priorità della misericordia. «A frate N... ministro. Il Signore ti benedica! Io ti dico, come posso, per quello che riguarda la tua anima, che quelle cose che ti impediscono di amare il Signore Iddio, e ogni persona che ti sarà di ostacolo, siano frati o altri, anche se ti percuotessero, tutto questo devi ritenere come una grazia.

E così tu devi volere e non diversamente. E questo tieni per te in conto di vera obbedienza del Signore Iddio e mia, perché io so con certezza che questa è vera obbedienza. E ama coloro che ti fanno queste cose. E non aspettarti da loro altro, se non ciò che il Signore ti darà. E in questo amali e non pretendere che siano cristiani migliori. E questo sia per te più che il romitorio. E in questo voglio conoscere se tu ami il Signore e ami me servo suo e tuo, se farai questo, e cioè: che non ci sia mai alcun frate al mondo, che abbia peccato quanto poteva peccare, il quale, dopo aver visto i tuoi occhi, se ne torni via senza il tuo perdono misericordioso, se egli lo chiede; e se non chiedesse misericordia, chiedi tu a lui se vuole misericordia. E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: che tu possa attirarlo al Signore; e abbi sempre misericordia di tali fratelli. E notifica ai guardiani, quando potrai, che da parte tua sei deciso a fare così».

Come in altri casi nelle parole di frate Francesco traspare il suo vissuto tanto che giunge ad affermare che sa «con certezza che questa è vera obbedienza», nel senso che lo sapeva per esperienza. Infatti anche lui fu ministro, e precisamente generale dell'Ordine minoritico fino alla morte: lo stesso Papa Onorio III lo riconosce come tale indirizzandogli la bolla Solet annuere con cui il 29 novembre 1223 conferma la regola dei frati minori. Alla sua morte fu eletto un nuovo ministro generale, frate Giovanni Parenti. Frate Francesco esercitò l'ufficio di ministro generale non senza difficoltà ed ebbe negli ultimi anni motivi di contrasto con i frati come narra ad esempio il testo Della vera letizia in cui è palese il confronto tra l'Assiate e i frati minori che ormai sono «tanti e tali» per cui lo ritengono oramai inadeguato a guidarli essendo «semplice ed idiota».

In tale situazione di confronto e scontro - causa di diffidenza - per sfuggire alla compagnia dei frati era propenso a dimorare più a lungo negli eremi come avvenne da agosto a settembre 1224 a La Verna. Cosa peraltro desiderata anche da diversi frati acculturati e sapienti che ormai lo ritenevano inadatto a reggere l'ordine minoritico. Nella lettera citata prima Francesco esorta l'anonimo ministro ad amare i fratelli senza pretesa. E continuando scrive che questo è più che il romitorio agognato dal frate; infatti è quel "fare misericordia" che, secondo quanto si legge nel Testamento, trasforma l'amaro in dolcezza. In sintesi si può affermare che Francesco non fa altro che riproporre al ministro rattristato dalla sua situazione ciò che lui stesso aveva vissuto e descritto nel Della vera letizia .

Gli occhi misericordiosi sono capaci di quell'alchimia per cui l'amarezza diventa dolcezza e guarigione per colui che li incontra. E se prima scrive di non pretendere che gli altri diventino cristiani migliori, poi aggiunge di attirarli al Signore proprio attraverso la misericordia. E al termine scrive di comunicare ai guardiani la decisione di abbandonare l'idea di ritirarsi in un eremo lontano dai frati (ritenuti fino a quel momento impedimento ad amare il Signore con maggior perfezione). Questa indicazione data all'anonimo ministro fu la medesima decisione che prese l'Assisiate allorquando scrive nel Testamento di voler ubbidire; e questo non solo nei confronti dei ministri e di tutti i frati ma anche dei sacerdoti poverelli verso i quali non vuole abbandonare mai questo atteggiamento. Neppure se fosse da loro perseguitato. (Pietro Messa - Osservatore Romano)

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