francescanesimo

Cultura/Siamo una nazione fondata sul Poverello (e lo tiriamo per il saio)

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001



Se appare scontato accostare le figure di santità e l'«identità teologica», lo è meno - come fa il sottotitolo di questo libro a più voci - avvicinare la santità e l'«identità nazionale». E lo è meno, soprattutto, se si sperimentano nuove letture di profili e simboli, inseguendo inediti nessi o inesplorate correlazioni, che possono caricarsi di significato per la storia religiosa e sociale. Come sottolinea Roberto Rusconi aprendo queste pagine, proprio la modulazione novecentesca della figura di Francesco d'Assisi, «il più santo degli italiani, il più italiano dei santi» secondo l'espressione di Pio XII quando lo proclamò patrono d'Italia nel 1939 (10 anni dopo quella Conciliazione messa in moto nel 1926, durante le celebrazioni per il VII centenario della morte del Poverello), palesa la ricchezza di intrecci tra le vicende del Paese e l'eredità dell'Assisate «padre della Patria», tornata in gioco nel periodo fra le due guerre mondiali (qui vi si sofferma Daniele Menozzi), dentro i nuovi orientamenti del cattolicesimo nei suoi volti differenti.


Da Agostino Gemelli (tratteggiato da Maria Bocci) a Pio da Pietrelcina (analizzato da Guido Mongini), accomunati nella scelta di diventare frati minori: l'uno per una personale soluzione del connubio medievalismo e francescanesimo, l'altro nel segno della tradizione. Dunque non è un caso se già nel 1926 padre Francesco Sarri presentava i Fioretti nel loro «carattere di schietta italianità», o Benito Mussolini parlava del «più santo dei santi... nella sua anima di italiano» (sotto regime fascista il culto francescano - fanno notare Tommaso Caliò e Francesco Torchiani - ebbe ruolo rilevante).


Come ben poco di casuale si ritrova nelle altre rivisitazioni del santo presentate nel libro, nato da un convegno promosso nel giugno scorso a Rieti dal Centro europeo di Studi agiografici. Sino a farci chiedere con Bruno Toscano, intervenuto (con Giovanna Capitelli e Jan de Maeyer) sui rapporti fra il Serafico e l'arte, se sia lo stesso Francesco che continua a trasformarla. Ma sono anche altri gli interrogativi suscitati dai contributi del volume. Senza dimenticare l'influenza nella sfera pubblica di Caterina da Siena «decoro della patria» (saggio di Anna Scattigno), si veda l'altra case history - qui analizzata da Lucia Ceci - del missionario Guglielmo Massaja, ovvero l'«Abuna Messias» strumentalizzato sul grande schermo in chiave colonialista, tale da rendere il cappuccino cardinale addirittura simbolo fascista dei «congiunti destini d'Italia ed Etiopia». Appunto: santità e identità nazionale. Diceva il Duce - lo ricorda André Vauchez - che i discepoli dell'Assisate «furono insieme missionari di Cristo e missionari d'italianità». Tommaso Caliò e Roberto Rusconi (a cura di) SAN FRANCESCO D'ITALIA Santità e identità nazionale.(Avvenire)

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