Un "novello pazzo"
Nel giorno di Pentecoste dell'anno 1221 si erano riuniti a capitolo, alla presenza di Francesco, più di cinquemila frati. Divisi in gruppi per province presso Santa Maria degli Angeli, avevano come unico riparo delle stuoie e dei graticci. Fu ricordato come il Capitolo delle stuoie, appunto. Era presente anche un testimone d'eccezione, fra Giordano da Giano, che ne dà un dettagliato resoconto nella sua Cronaca. Erano arrivati ad Assisi frati da città anche lontane, in un numero che testimonia ormai l'avvenuta espansione dell'ordine in quasi tutta Europa. Numerosi dovevano essere anche i frati dotti. La Leggenda perugina e lo Specchio di perfezione raccontano di quel Capitolo alla Porziuncola attraverso il dialogo serrato tra i protagonisti di quei giorni, da un lato i frati, il cardinale – probabilmente non Ugolino di Ostia, il futuro papa Gregorio IX, ma il cardinale Raniero Capocci, come ricorda Giordano da Giano – e dall'altro Francesco. Così lo Specchio di perfezione riporta il colloquio tra alcuni frati e il cardinale che conserva nel tono e nelle parole tutta l'immediatezza, ma anche il dolore di una lacerazione: “Messere, vogliamo che voi persuadiate frate Francesco a seguire il consiglio dei frati istruiti, e consenta talvolta di essere guidato da loro”. E citavano la Regola di San Benedetto, quelle di Agostino e Bernardo, che insegnano a menar vita religiosa in questa e quella maniera. Il tema era ancora una volta quello della Regola. Francesco prende la parola e si rivolge a tutti i frati presenti: Fratelli miei, fratelli miei! Il Signore mi ha chiamato per la via della semplicità e dell'umiltà, e questa via mi mostrò veramente per me e per quelli che intendono credermi e imitarmi. Di conseguenza, voglio che non mi si parli di nessuna Regola né di San Benedetto, né di Sant'Agostino, né di San Bernardo, né di alcun altro ideale e maniera di vita diverso da quello che dal Signore mi è stato misericordiosamente rivelato e concesso. Il Signore mi ha detto che io dovevo essere come un novello pazzo in questo mondo, e non ci ha voluto condurre per altra via che quella di questa scienza. Sono parole che conservano intatta la forza di chi le ha pronunciate. Ne emerge anche un ritratto di Francesco, teso a difendere quel proposito di vita evangelica, vissuto nella semplicità e nell'umiltà, così come gli era stato rivelato dallo stesso Cristo. È ben viva in Francesco la consapevolezza di una chiamata che lo rivela nel mondo, come lui stesso si definisce, un novello pazzo. Ma è in questa “pazzia” la vera scienza. L'esperienza stessa di Francesco, fin dagli esordi, appare agli occhi della sua famiglia, dei suoi amici e della sua città, come espressione di questa “follia” che sovverte ogni logica, ogni criterio del comune sentire, pensare, desiderare. Ma è solo in questa “follia” che si attua la possibilità di un incontro non nell'utopia, ma nell'amore.
di Milvia Bollati
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