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San Francesco il pacificatore

Aldo Cazzullo
Pubblicato il 30-11--0001



Il mio incontro con i frati di Assisi comincia con un errore. O, meglio, una battuta, che i frati però fecero bene a rettificare, con una lettera che mi colpì per garbo e intelligenza, merce rara per chi scrive ai giornali. In occasione della marcia della pace Perugia-Assisi, che seguiva di poco la celebrazione proprio ad Assisi del primo maggio sindacale, definii i francescani “ormai riconvertiti in attivisti Cgil”. Padre Enzo, il direttore della sala stampa del Sacro Convento, mi spiegò pazientemente che accogliere tutti non significa condividere ogni opinione, e che i francescani non sposavano una tesi; ospitavano la discussione. Quella lettera mi diede l'occasione di conoscere davvero il Sacro Convento, e di non sbagliare più. Ma ho l'impressione che quell'errore sia stato ripetuto da molti altri. A cominciare dal tema più francescano possibile: la pace. Non c'è dubbio che i frati di San Francesco siano uomini di pace, che Assisi sia il simbolo stesso del dialogo, dell'ospitalità, del confronto. Ma pace non significa alzare bandiera bianca. Non vuol dire chiudere gli occhi di fronte al male del mondo. Non equivale a rassegnarsi all'arbitrio del più forte. Ho passato nel Sacro Convento la notte dell'attacco all'Iraq, ormai sei anni fa. Ricordo bene l'ira mite dei frati, che presero una posizione severa contro una guerra sciagurata, come ormai riconoscono tutti coloro che non sono resi ciechi dall'ideologia. Ma opporsi a una guerra non significa saper distinguere una missione aggressiva da una missione di pace, una guerra ingiusta da un'altra che non lo è, magari perché condotta per impedire un genocidio o una guerra più sanguinosa prossima ventura. In ogni caso, non credo che da Assisi verrà mai un avallo a una potenza in armi. Ma non verrà neppure una benedizione a chi intende strumentalizzare la pace e volgerla verso la propria fazione politica. di Aldo Cazzullo

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