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La Regola è la vita

Felice Accrocca
Pubblicato il 30-11--0001



Ricorda Francesco nel suo Testamento: “L'Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me la confermò”.

S'era recato infatti, con i suoi compagni, da Innocenzo III nella primavera del 1209.
Difficile fissare il testo sottoposto, in quell'occasione, all'esame del pontefice: Tommaso da Celano afferma che Francesco utilizzò soprattutto parole del Vangelo, aggiungendovi poche altre cose necessarie per garantire una vita santa.

Giacomo da Vitry, poi, in una nota lettera dell'ottobre 1216, ci ha trasmesso una testimonianza preziosa: “Gli uomini di questa ‘religione' con notevole vantaggio convengono una volta l'anno nel luogo stabilito per rallegrarsi nel Signore e mangiare insieme. Qui, avvalendosi del consiglio di persone esperte, formulano e promulgano le loro leggi sante e confermate dal signor Papa”.

Cosa succedeva, in realtà? I frati, che ogni anno si incontravano ad Assisi per il Capitolo, riflettevano sulle motivazioni di fondo della loro scelta, prendevano in esame i problemi con i quali erano venuti a contatto nel corso dei loro viaggi per il mondo, fissavano per iscritto alcune norme fondamentali. Negli anni successivi sottoponevano quelle stesse norme a revisione, integrando, ritoccando, correggendo il dettato precedentemente fissato.

Il primitivo testo presentato al Papa venne così ampliandosi, fino ad assumere, nel Capitolo del 1221, la forma dell'attuale Regola non bollata, che segnò un primo punto d'arrivo. Il testo tuttavia non ottenne l'approvazione papale (da qui, appunto, il nome di Regola non bollata) e fu necessario lavorare ancora, in vista di una definitiva approvazione pontificia. La Lettera ad un ministro è testimonianza eloquente di questo incessante lavorio. In essa, infatti, Francesco scriveva: “Riguardo poi a tutti i capitoli, che si trovano nella Regola, che parlano dei peccati mortali, nel capitolo di Pentecoste, con l'aiuto del Signore e il consiglio dei frati, ne faremo un solo capitolo di questo tenore...”.

La lettera ci consente inoltre di appurare che, in ordine alla redazione del proprio codice di vita, i frati mantennero vivo fino alla fine lo spirito e il metodo che li aveva caratterizzati nella prima fase della loro storia. Approvata infine da Onorio III il 29 novembre 1223, la Regola francescana si presenta come la vita della fraternità, una vita che si concretizza nel programma di osservare la povertà e l'umiltà e il Vangelo di Gesù Cristo, in comunione con la Chiesa e nell'obbedienza ad essa. Essa porta impressa su di sé l'orma dell'Assisiate, sicuramente visibile in alcune espressioni e nel ripetersi di verbi in prima persona caratteristici del suo modo di parlare e scrivere, come mostra il fatto che ritornano identici in altri scritti indubbiamente suoi.

Nella parte centrale del capitolo VI sembra quasi di udirne la voce, mentre in modo personale e diretto parla ai frati esortandoli: “Questa è la sublimità di quell'altissima povertà, che ha costituito voi, fratelli miei carissimi, eredi e re del regno dei cieli, vi ha fatti poveri di cose e vi ha innalzati con le virtù. Questa sia la vostra parte di eredità, che conduce nella terra dei viventi. E aderendo totalmente a questa povertà, fratelli amatissimi, non vogliate possedere niente altro in perpetuo sotto il cielo, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo”.

In questi otto secoli l'eredità di Francesco non è stata facile per i suoi frati e per i suoi figli spirituali, dando vita, spesso, ad accesi contrasti: ma proprio stanno a significare non già un'inarrestabile decadenza, quanto piuttosto testimoniano come “sia rimasta viva la tensione evangelica” che egli ha “innestato nella vita della Chiesa” (Edith Pásztor). di Felice Accrocca

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