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Francesco, un uomo per tutte le stagioni?

Redazione
Pubblicato il 30-11--0001



Kierkegaard ha scritto “Dopo la mia morte non si troverà nelle mie carte una sola spiegazione di ciò che in verità ha riempito la mia vita. Non si troverà nei recessi della mia anima quel testo che spiega tutto e spesso, di ciò che il mondo tiene per bagattelle, fa degli avvenimenti di enorme importanza per me” (Diario, IV A, 85). Non si può dire la stessa cosa di Francesco d'Assisi. La spiegazione di ciò che ha riempito la sua vita, la parola che spiega tutto di lui, esiste ed è chiarissima; si tratta solo di raccoglierla.
Non è vero che siamo sprovvisti di criteri oggettivi sicuri e lasciati al nostro arbitrio, in modo da fare di Francesco quello che piace a noi e rivestirlo dei panni di moda del momento, come avviene anche per Gesù. Francesco non è l'uomo di tutto e di niente, un “ingrediente” con cui si dà un tocco di spiritualità a tutti i grandi ideali del mondo: Francesco patrono dei poeti (il “giullare di Dio”!), degli animalisti, della pace, dell'ecologia, della fratellanza universale e di non so quante altre cose. Intendiamoci: ognuno di questi titoli è pienamente meritato da Francesco, ma essi sono i frutti maturati sui rami dell'albero. Perché rifi utarsi sistematicamente di esaminare il tronco e le radici di questo albero e il terreno da cui succhia la linfa? In ciò, sì, che il destino di Francesco dopo la sua morte somiglia a quello che il fi losofo citato prevedeva per se stesso: “Sempre quest'infame, ignobile cannibalismo, con il quale (come Eliogabalo mangiava i cervelli di struzzo) si divorano i pensieri dei morti, le loro opinioni, i detti, le impressioni. Ma per la loro vita, il loro carattere: no, grazie, con tutto questo non vogliamo avere a che fare” (Diario X, 4, 537). Il terreno, la radice e il tronco dell'albero, per Francesco è la persona di Gesù Cristo! Egli è tutto per lui. È istruttivo un confronto tra la conversione di Paolo e quella di Francesco. L'una e l'altra sono state un incontro di fuoco con la persona di Gesù. Entrambi hanno potuto dire: ”Per me vivere è Cristo” e “Non sono più io che vivo, Cristo vive in me” (Fil 1, 21; Gal 2,20); entrambi hanno potuto dire – Francesco in senso ancora più forte che Paolo –: “Io porto le stimmate di Gesù nel mio corpo” (Gal 6,17).
La famosa metafora delle nozze di Francesco con Madonna Povertà che ha lasciato tracce profonde nell'arte e nella poesia, a cominciare da Dante, può essere deviante. Non ci si innamora di una virtù, fosse pure la povertà; ci si innamora di una persona. Le nozze di Francesco sono state, come quelle di altri mistici, uno sposalizio con Cristo. La risposta di Francesco a chi gli chiedeva se intendeva prendere moglie – “Prenderò la sposa più nobile e bella che abbiate mai vista” – viene di solito male interpretata. Dal contesto, riferito dal Celano, appare chiaro che la sposa non è la povertà, ma il tesoro nascosto e la perla preziosa, cioè Cristo. È urgente raccogliere questo messaggio di Francesco agli italiani di oggi, e spiego il perché. Che posto occupa Gesù nella nostra società e nella nostra cultura? Penso si possa parlare, a questo riguardo, di una presenza-assenza di Cristo. A un certo livello – quello dello spettacolo e dei mass-media in generale – Gesù Cristo è molto presente, addirittura una “Superstar”. In una serie interminabile di racconti, film e libri, gli scrittori manipolano la figura di Cristo, a volte sotto pretesto di fantomatici nuovi documenti storici su di lui. Il Codice Da Vinci è l'ultimo e più clamoroso episodio di questa lunga serie. È diventato ormai una moda, un genere letterario. Si specula sulla vasta risonanza che ha il nome di Gesù e su quello che egli rappresenta per larga parte dell'umanità per assicurarsi larga pubblicità a basso costo. E questo è parassitismo letterario.
Da un certo punto di vista possiamo dunque dire che Gesù Cristo è molto presente nella nostra cultura. Se guardiamo, però, all'ambito della fede, al quale egli in primo luogo appartiene, notiamo, al contrario, una inquietante assenza, se non addirittura rifiuto della sua persona. In cosa credono quelli stessi che si definiscono “credenti” in Europa e altrove? Credono, il più delle volte, nell'esistenza di un Essere supremo, di un Creatore, che esiste un “aldilà”, una vita dopo morte. Gesù Cristo è in pratica assente in questo tipo di religiosità, mentre secondo il Nuovo Testamento la fede che giustifica l'uomo è soltanto la fede “in Gesù Cristo”, nella sua morte e risurrezione.
La persona di Cristo è assente in ognuno dei tre maggiori dialoghi in atto nell'attuale momento culturale: nel dialogo tra scienza e fede, perché in esso si discute se esiste un creatore o se il mondo è frutto del “caso e della necessità”, non ci si interessa di Gesù Cristo; nel dialogo tra fede e fi losofi a, perché questa si occupa di concetti metafisici, non di personaggi storici; nel dialogo interreligioso, dove il nome di Gesù Cristo è ciò che distingue e dunque rigorosamente taciuto. In questo senso non è arbitrario parlare del mondo “post-moderno”, come di un mondo “post-cristiano”.
C'è un episodio nel vangelo che descrive l'attuale situazione del nostro Occidente in rapporto a Cristo: il rifi uto che Gesù incontrò tra i suoi a Nazareth. La nostra Italia, e in genere l'Europa, sono, per il cristianesimo, quello che era Nazareth per Gesù: “il luogo dove è stato allevato”. (Il cristianesimo è nato in Asia, ma è cresciuto in Europa, un po' come Gesù era nato a Betlemme, ma fu allevato a Nazareth!). Noi corriamo oggi lo stesso rischio dei nazaretani: non riconoscere più Gesù. Più che per il rifi uto delle “radici cristiane” dell'Europa, c'è da preoccuparsi del rifi uto di Cristo!
Nella descrizione delle battaglie medievali c'è sempre un momento in cui, superati gli arcieri, la cavalleria e tutto il resto, la mischia si concentrava intorno al re. Lì si decideva l'esito fi nale della battaglia. Anche per noi la battaglia oggi non è più intorno a questa o quella dottrina e virtù: è intorno al Re!
Se Francesco tornasse in vita, sono sicuro, che non comincerebbe col parlarci di “Madonna Povertà”, di “Fratello sole e Sorella luna”, ma di Gesù Cristo e questi crocifi sso. Uno dei primi ritratti del Santo (a Greccio si conserva la copia dell'originale andato perduto) ci mostra Francesco che si porta un fazzoletto agli occhi in atto di asciugarsi le lacrime: così lo ricordavano i suoi contemporanei. Accanto al Francesco della perfetta letizia, è esistito un Francesco delle lacrime ed è quello che, forse, conosceremmo oggi se tornasse in vita.
di Raniero Cantalamessa

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