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“Dodici religioni per una pace”, titolò il Corriere della Sera all'indomani della grande giornata di preghiera ad Assisi voluta da Giovanni Paolo II. Una tregua planetaria, un'occasione in cui la multiformità dei colori delle varie religioni si compose in un quadro di rara suggestione e di grande intimità. Se dovessimo giudicare, guardando ai fatti spesso tragici che si sono succeduti in questo quarto di secolo, dovremmo concludere, però, che la bellezza del gesto, così profondo e denso di significati pastorali dell'incontro di Assisi, è stata sfigurata da nuovi conflitti e nuovi odii. Svanita nella forza dirompente delle diplomazie e degli eserciti. Schiacciata dagli egoismi di parte. Ma sarebbe una conclusione affrettata, segnata dal pessimismo radicale e materialista che caratterizza purtroppo questa nostra epoca. Il dialogo fra le religioni ha un passo lungo e le avvicina secondo un movimento impercettibile che probabilmente sarà valutato meglio solo fra un altro quarto di secolo. La responsabilità di ogni uomo di pace, credente o no, è di non disperdere alcun seme di dialogo, non mancare alcuna occasione di confronto. E non si tratta di smussare le diversità, indebolire le identità, scolorire le appartenenze, sconvolgere i riti in una confusa fratellanza. Apparteniamo tutti alla comunità umana, come ha affermato più volte Benedetto XVI, e nella quiete degli animi di Assisi possiamo ritrovare tutti, credenti di diverse religioni e atei, le ragioni per vivere in pace con gli altri. E con noi stessi.