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Lo 'spirito di Assisi'èdi Mons. Mario Toso, Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001



Si intende offrire qui alcune riflessioni riguardanti la giornata di Assisi 2011, che sarà celebrata il 27 ottobre e che ha come tema «Pellegrini della verità, pellegrini della pace». Con una simile giornata, voluta da Benedetto XVI per solennizzare il 25° anniversario dello storico incontro tenutosi nel 1986, e che ha visto pellegrini nella città di san Francesco, assieme al Beato Giovanni Paolo II, i fratelli cristiani delle diverse confessioni, gli esponenti delle grandi tradizioni religiose del mondo e, idealmente, tutti gli uomini di buona volontà, si vuole mostrare che la pace è possibile e che, più che di discussioni, di dibattiti e di negoziazioni, essa ha bisogno anzitutto dell'amicizia tra le religioni. La pace attende che i suoi artefici sappiano convergere ed incontrarsi. Non c'è solo il linguaggio verbale, bensì anche il linguaggio eloquente dell'empatia, dei gesti: come l'intrapresa di un lungo viaggio, l'accoglienza, a partire da una previa fiducia accordata. L'apertura e il disarmo degli animi vengono prima di ogni altro passo. Oltre alla dolcezza dell'ospitalità, c'è la «bellezza» corroborante della condivisione degli stessi ideali, di una responsabilità universale.

La pace è, anzitutto, l'esperienza di una fraternità trascendente, dell'appartenenza alla stessa famiglia umana che cammina unita e che percepisce nel profondo del suo essere una comune origine e un comune traguardo.

Il tema scelto da Benedetto XVI intercetta pienamente l'esigenza del dialogo evocata nel titolo di questo incontro: sia perché ogni discussione pubblica se non avvenisse sulla base della ricerca sincera della verità si tramuterebbe presto in una “fiera delle falsità”, sia perché lo stesso confronto civile, sia pure tra parti avverse, sarebbe impossibile. Il dialogo pubblico c'è ed è fruttuoso se tutti coloro che vi partecipano ricercano il vero, e si impegnano a farlo mediante un atto comunitario, quale «luogo ermeneutico e pedagogico». Proprio perché ognuno è «pellegrino» della verità - è cioè sì capace di attingerla ma, nello stesso tempo, non la possiede in toto, lo eccede oltre che precederlo - è chiamato a partecipare con umiltà al dialogo sociale, riconoscendo i propri limiti, il bisogno del confronto e di essere «integrato» nella propria esperienza cognitiva, culturale e religiosa, entro l'alveo di un itinerario condiviso. Il dialogo non c'è o viene interrotto non solo quando non si comunica più e ci si «ritira sull'Aventino», bensì anche quando non si riconosce la verità o si dichiara che la propria è totalmente incommensurabile rispetto a quella altrui. Sia il rifiuto di incontrarsi e di parlarsi, sia lo scetticismo e il relativismo assolutizzati sono ostacoli radicali al dialogo pacifico tra persone, popoli, famiglie spirituali e civiltà.

Condizione imprescindibile della pace, cioè del bene comune - per i pontefici la pace si identifica, in certa maniera, col bene comune, con un retto ordine sociale - è, dunque, non il mettere tra parentesi o il prescindere dalla propria capacità cognitiva e volitiva del vero bene, come suggeriva il noto giurista di origine austriaca, Hans Kelsen, secondo cui chi dichiara di possedere la verità è nemico della democrazia - quanto, piuttosto, l'essere e il sentirsi tutti «pellegrini della verità» partecipando ad un discorso comune: coltivando un'incessante «estasi» nei confronti della verità intera, parzialmente raggiungibile, mai sondabile e fruibile esaustivamente; disposti, pertanto, ad una perenne conversione intellettuale e morale. In tale esperienza di comunione nello scibile occorre sentirsi «parte» di un «tutto» che trascende ognuno, e in cui l'essere e il sapere altrui sono un «dono per me», che sono ontologicamente, intellettualmente e moralmente limitato. È all'interno di un'esperienza comunitaria del sapere e di buone pratiche che si forgiano autonomamente le nostre conoscenze, la nostra sapienza, l'ethos di un popolo. Questo, in sintesi, il messaggio che Benedetto XVI desidera diffondere, invitando i vari capi delle religioni e gli uomini di buona volontà a convenire ad Assisi, la città di san Francesco, uomo di pace, perché umile e sincero pellegrino del Sommo Vero e del Sommo Bene: il bene comune mondiale e nazionale verso cui, nelle varie e mutevoli condizioni storiche, si è sempre mobilitati, può essere riconosciuto e costruito se ci si pone - credenti e non credenti - entro un cammino, universale e comunitario, di autotrascendimento di se stessi verso il Lógos e l'Agápe.

Questa è l'esperienza che Benedetto XVI desidera condividere, conscio che dall'intrinseco anelito di ogni persona al vero, al bene e a Dio, viene un forte impulso alla collaborazione sociale. Tale propensione deriva da quella «natura» umana o «struttura d'essere per la comunione e per il dono» che è stata seminata in ogni persona dal Creatore e che rende ogni persona un «bene per me», aspetto questo spesso ignorato sia dal pensiero politico neoliberale che dal pensiero dei neocomunitaristi, per i quali l'essenza della libertà umana si stempera in un specie di indifferenza nei confronti del vero e del bene.

Per Benedetto XVI, l'empatia e la fraternità fra gli esseri umani, mentre costituiscono un patrimonio innato di pace, vanno rese più vive e rafforzate mediante la recta ratio, una vita buona: ciò che preesiste ad ogni libertà, innervandola dal di dentro, va riconosciuto ed assunto più responsabilmente, con perseveranza. Il processo della pace, quale costruzione del bene comune, necessita della verità integrale sull'uomo e sulla storia, come di una luce che lo illumina e lo guida. La verità del bene comune - per giungere al tema del dialogo e della pace nel nostro Paese -, esige che si viva sinceramente il cammino di un'umile, appassionata e corale ricerca di ciò che è vero bene per il popolo italiano. Solo questo atteggiamento, fuori dal clamore della politica gridata o dalle “isterie delle Borse”, consentirà di cogliere il limite delle letture neoliberistiche dell'economia e della finanza.

Senza la verità sul bene comune, inteso come bene di tutti, bene relativo all'uomo globale, si continuerà a pensare ad esso con una visione parziale: l'etica della pace sarà vissuta in contrapposizione all'etica della vita; la finanza continuerà ad usurpare il primato alla politica e ad essere gestita secondo criteri utilitaristici; le politiche del risanamento non saranno raccordate adeguatamente con quelle dello sviluppo solidale e sostenibile; aumenterà il peso del debito pubblico e delle distruzioni ambientali sulle spalle delle future generazioni; i giovani disoccupati resteranno senza la possibilità di fare l'esperienza del lavoro, che consente di crescere umanamente, mediante libertà e responsabilità; le riforme strutturali tarderanno, assieme ai necessari investimenti nella ricerca e nell'innovazione.

La pace esige la verità sull'uomo e sulla politica: ecco la piattaforma di una speranza non velleitaria, ecco l'uscita di sicurezza per ogni popolo.

Se non esistesse una verità morale, certa e fondata, non si potrebbe smascherare la menzogna, non sarebbe possibile dire che l'omicidio è omicidio; non si potrebbe chiamare col loro nome i massacri di uomini e di donne, qualunque sia la loro appartenenza etica e religiosa. Chi ama davvero la pace non può essere come Pilato che dubita della verità e non la fa sua perché accettarla significherebbe compromettere il proprio status.

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