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Intervento Sen. Anna Finocchiaro, Capogruppo del PD al Senato

Redazione
Pubblicato il 30-11--0001



Vi ringrazio per avermi invitato anche quest'anno, per una ricorrenza che è ormai diventata tradizione nella storia del Senato e alla quale mi fa davvero molto piacere partecipare.
Il tema di oggi è un tema sul quale, come diceva poc'anzi Sua Eccellenza Crociata, Francesco ancora parla. La scelta di Francesco come simbolo e immagine dell'Italia io credo che vada ricercata, al di là delle molte cose tutte esatte e interessanti che sono state dette oggi, in due aspetti che si legano e si intrecciano tra di loro: la visione universalistica del Santo di Assisi e l'uso, tra i primissimi, della lingua volgare per esprimersi. Quando vive Francesco il mondo, il mondo conosciuto, o meglio l'Europa, attraversa un momento storico che vede affermarsi un cambiamento epocale di quelle che sono le strutture più profonde della società occidentale, con la crisi, per esempio, del concetto di impero universale ed il sogno di Federico II che si infrange con la sua morte. Nasce nel frattempo una proto borghesia, con la nascita del mercantilismo che si accompagna ad una nascita di un particolarismo che è quello proprio delle corporazioni che, sebbene abbiano fortemente contribuito allo sviluppo dell'Italia e allo sviluppo della vita nei comuni, allo stesso tempo però impone una sorta di distinzione, di privilegio, appunto di corporativismo. Nel frattempo comuni e autonomie cittadine si affermano e anche in letteratura il nascere delle prime esperienze di letteratura in forma di autobiografia, indica, segnala un principio di particolarismo e di individualismo. Certo era l'epoca del superamento storico della società feudale collettivistica, che era chiusa per altro, come sappiamo, in schemi materiali e in schemi spirituali molto rigidi. In questo quadro di cambiamento si impone la visione di Francesco, come campione di un messaggio che si rivolge a tutte le genti fondandosi sui valori del pacifismo e della povertà. Francesco intuisce tra i primi ed ha il coraggio, diremmo quasi l'irriverenza, di usare la lingua volgare perché capisce che predicare in lingua volgare può essere uno straordinario antidoto contro l'affermarsi di quei movimenti eretici detti pauperistici che si ponevano come alternativa, un'alternativa come dire rigorosa e vigorosa al nuovo tipo di economia che stava emergendo in occidente. Francesco intuisce che usare la lingua volgare può significare contrastare quei movimenti che fecero davvero barcollare la chiesa medievale ( e in questo sta un'intuizione geniale che poi suggerì anche l'immagine giottesca di San Francesco che regge sulle proprie spalle la Basilica di San Giovanni in Laterano, prossima a un crollo, a seguito, come sappiamo, del sogno che venne fatto dal Pontefice ). Possiamo da questo giungere ad una lettura secondo la quale Francesco è il cofondatore o addirittura il fondatore di un Ethos nazionale. E' possibile, perché altrimenti non capiremmo perché proprio quella fase sia il passaggio che evita, con la nascita della modernità, che il popolo italiano percorra un cammino diverso da quello del popolo tedesco, inglese e in parte anche quello francese.
L'Ethos nazionale italiano di fronte alla modernità e in ragione della presenza del centro visibile della Chiesa romana, mantiene il suo tradizionale carattere cattolico nel senso etimologico del termine, cioè nel senso di universale; ora è ovvio che la parola “universalismo” può assumere tanti significati; noi possiamo adoperarlo, in questo caso, per descrivere una caratteristica dell'Italia che nasce in quel periodo storico e che trova linfa nell'universalismo di Francesco e che io vorrei descrivere come tenace resistenza dell'Italia contro qualunque forma di nazionalismo di tipo escludente. L'universalismo cattolico, di cui la predicazione di Francesco fu insieme uno strumento e una celebrazione, non è sempre facile da comprendere e ai non italiani può sembrare talora scarsa attenzione alla patria. In realtà l'universalismo cattolico si oppone da una parte al nazionalismo deteriore, dall'altra al cosmopolitismo illuminista . L'universalismo cattolico italiano è un'attenzione alla propria patria che non esclude l'apprezzamento di quanto di positivo si trova in altre esperienze nazionali, e che rimane aperto al confronto e al dialogo. A monte dell'universalismo cattolico vi è una passione per le differenze concrete, tutte apprezzate nelle loro caratteristiche uniche, nelle loro piccole storie parziali, che vanno a comporre la grande storia globale delle nazioni e degli uomini. In qualche modo, se vogliamo adoperare irrispettosamente come metafora l'incontro di San Francesco con il sultano, è proprio la forza della propria identità che dà a Francesco la possibilità di presentarsi al sultano e sostenere la propria ambizione di dialogo e di confronto. Probabilmente, lo dicono molti studiosi e io sono d'accordo, la differenza di percorso rispetto al resto dell'Europa va proprio cercata nella figura di Francesco. E nella sua predicazione, che impedì il radicarsi in Italia di qualunque tipo di movimento ereticale, sta forse il segreto del germe dell'Etos nazionale che permise anche il saldarsi di questo messaggio universale della Chiesa in un contesto locale. Al contrario, l'Ethos tedesco fu fortemente permeabile alla nascita delle eresie. Oggi, ogni sorpresa intorno alla globalizzazione è sparita e l'attenzione degli studiosi si ferma sul cosiddetto “glocal”, così lo chiamano i sociologi. Credo che noi abbiamo esattamente un esempio di “glocal” in questa predicazione popolare che ha l'ambizione dell'universalismo e che insieme è molto attenta alla costruzione identitaria delle stesse comunità.

Poco fa, Maurizio Gasparri ha ragionato del'etimologia culturale prima ancora che lessicale del termine patria. Io vorrei sottoporvi una riflessione che ho fatto in questi giorni. La scelta che fa Francesco, di chiamare “fratres” cioè fratelli, gli uomini e le donne che incontra e insieme coloro i quali con lui dividono l'onere della preghiera e della predicazione, non è casuale. Se noi andiamo all'origine della parola, la parola “fratres” indica colui che rifiuta il “dominius” delle cose e invece ne esalta “l'usus”. Un diverso modo di costruire la proprietà e un diverso modo di costruire un Ethos pubblico fondato appunto sulla valorizzazione del pubblico nella sua relazione con i diritti, le aspettative e i bisogni dei privati. Io credo che senza questa capacità di penetrazione del pensiero francescano e della predicazione francescana anche l'Italia avrebbe avuto un diverso destino, forse addirittura confini geografici diversi. E la figura di Francesco, in bilico tra il conservatorismo e la rottura di sistema, in bilico in questo passaggio di tempo, che furono quegli anni importantissimi per definire la futura fisionomia dei popoli e poi, tanti secoli dopo delle nazioni, è probabilmente una sintesi perfetta appunto del processo identitario Italiano. E allora non è più un caso che Francesco sia il Santo Patrono d'Italia.

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