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«Stiamo vicini ai popoli colpiti da Ebola»

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

In Sierra Leone e in Liberia per incoraggiare la lotta contro Ebola, stare accanto a quanti stanno soffrendo, con una particolare attenzione al vero dramma umanitario costituito dai tantissimi bambini rimasti orfani. È il senso della missione compiuta nei giorni scorsi nei due Paesi africani che stanno subendo le conseguenze più devastanti del virus dal cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace. Portando la vicinanza di Papa Francesco, il porporato africano ha assicurato l'impegno della Chiesa per soccorrere le popolazioni colpite da Ebola, le vittime e le loro famiglie. Il virus sinora ha mietuto 7.518 vittime, secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).

«La situazione è molto grave – conferma in un’intervista alla Radio Vaticana monsignor Robert Vitillo, delegato della Caritas Internazionalis presso l’Onu a Ginevra, appena rientrato in Italia –. C’è panico fra la popolazione. Le scuole sono chiuse sia in Sierra Leone che in Liberia. Molto spesso, quando i genitori devono lavorare, i bambini e i ragazzi rimangono soli e questo è un altro problema. Speriamo che le scuole possano riaprire».

In Sierra Leone, riferisce Vitillo, «ci sono tra i 2.500 e i 5.000 orfani. In molti casi le famiglie non vogliono prenderli perché hanno paura che possano trasmettere infezioni anche, se non hanno il virus o ne sono guariti. Quindi, molti bambini si trovano per strada: in questo momento ci sono programmi della Chiesa per accoglierli e incoraggiare le famiglie a prenderli con loro». Ma le conseguenze dell’epidemia vanno oltre gli aspetti sanitari: «Molti non lavorano perché i negozi, le scuole, molti uffici del governo sono chiusi – spiega il rappresentante della Caritas –. La gente non prende uno stipendio, è un problema anche dare da mangiare alla famiglia e ai propri figli. Questo durerà anche dopo l’Ebola, perché l’impatto sulla situazione economica in questi Paesi, già deboli, è molto forte.

Poi, ci sono anche i risvolti sociali: la gente si sente frustata, c’è un incremento di violenza anche nelle comunità... Poi, c’è la questione delle prospettive del futuro, e la paura che questa epidemia possa ripresentarsi». Alla comunità internazionale monsignor Vitillo chiede che «continui a incrementare le risposte, attraverso l’invio non solo di infermieri e medici ma anche di denaro per stabilizzare la situazione economica e rinforzare le infrastrutture sanitarie e socio politiche».
 
L’esempio arriva dalla Chiesa, che «sta facendo moltissimo, e infatti in qualche regione di questi Paesi sono le uniche strutture sanitarie che funzionano. Però, anche in questo senso, c’è bisogno di solidarietà di tutta la Chiesa universale. La Caritas sta facendo molto, così come le Congregazioni religiose, ma c’è bisogno di altro aiuto», anche spirituale, specie nel tempo natalizio che in tante famiglie segnate da lutti e malattie è vissuto con «tristezza, e in alcuni casi disperazione. Ma le chiese sono piene perché è una popolazione che ha fede»

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