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Tra vette e sentieri l’ignoto esiste ancora

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Come Riccardo Cassin nel 1938 che cercava con una cartolina in mano la Nord delle Grandes Jorasses, una delle grandi pareti inviolate del Monte Bianco. La trovò e la salì: fu leggenda. Così i due russi Alexander Gukov e Alexej Lonchinskiy avevano l’immagine del Thamserku sul loro cellulare e se lo sono trovato davanti nell’ultimo tratto della valle del Khumbu, quella dell’Everest. A differenza di Cassin non hanno chiesto nulla a nessuno. Curvi sotto sacchi enormi da cui penzolavano corde, piccozze, ramponi e caschi sono stati affrontati da alcuni escursionisti. Gukov: «Ci volevano dissuadere, ci dicevano “state sbagliando strada, l’Everest è di là”». Ma loro si sono infilati su quell’enorme parete di roccia, canali glaciali e seracchi pensili. Sei notti, la cima a 6.618 metri, e l’impresa che ha fatto loro vincere l’oscar dell’alpinismo, il Piolet d’Or.

Avventura che segna il ritorno prepotente dell’alpinismo di esplorazione. Scalatori in cerca dell’ignoto, lontano da montagne celebri o attratti da versanti finora non considerati, perché di estrema difficoltà: l’inverno himalayano di Simone Moro, le vie di Alpi e Patagonia di Hervé Barmasse. Dice Fabio Palma, presidente dei Ragni di Lecco, blasonato gruppo di alpinisti che detiene lo scettro dell’esplorazione verticale: «Ci sono vie non ancora “mature”. Penso per esempio a David Lama sulla Nord-Est del Masherbrum. Non è andata tanto in alto, è un muro pazzesco».

L’austriaco Lama annuncia il suo ritorno al Masherbrum, tre chilometri e mezzo di parete a tratti strapiombante e con difficoltà tecniche da brividi. I Ragni con Matteo Della Bordella (lo scorso anno aprì una via in Groenlandia arrivandoci pagaiando in kayak lungo un fiordo per un mese), Luca Schiera e Matteo De Zaiacomo sono in partenza per l’India. Destinazione, il granito del Bhagirathi IV, itinerario segreto. Lo scorso anno mentre Della Bordella era in Groenlandia, Schiera e De Zaiacomo hanno fatto «ferie» in Kirghizistan, su un massiccio color cammello che pare modellato nella plastilina da mani di giganti. I due Ragni hanno aperto una via nuova, «Atlantide», 700 metri, e risalito la «Central Pyramid» e «Perestroika Crack», considerata «imperdibile» dai grandi rocciatori.

Alpinisti in cerca di luoghi «dove poter sorprendersi per il non visto», dice Marco Camandona, guida alpina valdostana, sei ottomila alle spalle, che due anni fa ha risalito con due giovani colleghi, Emrik Favre e François Cazzanelli, una vallata nascosta del Nepal per salire l’inviolato Settemila Churen Himal. «Era quindici anni che i villaggi più alti - racconta Camandona - non vedevano un occidentale. Non abbiamo affrontato nulla di impossibile, eppure fra le mie venti spedizioni è stata la più bella».

Palma dice: «Per fare esplorazione devi essere un professionista, vivere di montagna. È rara nell’alpinismo, anche se ricercata, consueta in campo scientifico. Se ne può fare ancora in Groenlandia, Baffin, molte valli del Karakorum pressochè sconosciute. Ma mettersi in gioco come Della Bordella e compagni non è facile, le probabilità di sconfitta sono altissime».

François Cazzanelli e Giampaolo Corona avevano intenzione di farlo nel Langtang nepalese, con l’obiettivo di salire il Kimshung, montagna vergine di 6.781 metri. Volavano dall’Europa il giorno del terremoto. E nel Langtang sono arrivati ma per scavare nelle macerie e recuperare i corpi di Oskar Piazza e Gigliola Mancinelli.  (La Stampa)

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