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Sud Sudan: vacanze in zona di guerra l'iniziativa di 23 giovani milanesi

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

“Sono un missionario in esilio: il mio cuore è sempre in Sud Sudan, anche se per nove mesi all’anno vivo nella periferia milanese, a Sesto San Giovanni”. L’accento dei monti bergamaschi risuona forte e chiaro, anche nella savana del Sud Sudan. Chi parla è don Omar Delasa, che ha scelto di seguire le orme di don Bosco dopo la laurea in medicina.

 

 

Don Omar è stato chiamato a prestare servizio per alcuni mesi nella missione salesiana di Tonj, che allora era nel Sudan meridionale, fra il 2007 e il 2008. Gli sono bastati pochi mesi per innamorarsi di questo Paese, della sua gente, ma soprattutto per capire che doveva fare qualcosa per aiutare la popolazione di una delle regioni più povere del mondo. E così, dall’estate del 2008, ha organizzato ogni anno dei campi di lavoro coinvolgendo i ragazzi delle “Opere Sociali don Bosco” di Sesto San Giovanni, la scuola professionale dove lavora (http://www.tonjproject.it/chisiamo).

 

 

Sei anni di campi lavoro hanno dato risultati importanti: nella missione di Tonj è sorto un ospedale ostetrico e ginecologico, con 50 letti e una piccola chirurgia. Gli ospedali più vicini sono a sei o dieci ore di auto da qui. La macchina poi, qui non ce l’ha nessuno. E quando piove, molte piste non sono praticabili. Non a caso in questa zona la mortalità infantile tocca punte del 25 per cento e una madre su cento muore di parto.

 

 

Dalla fine dell’anno scorso, in Sud Sudan è riesplosa la guerra. Il presidente Salva Kir e il suo vice Riek Machar, si sono divisi trascinando negli scontri i loro gruppi etnici di appartenenza, rispettivamente dinka e nuer. La regione di Tonj è abbastanza tranquilla, conferma don Omar: “Solo qualche giorno fa, a Mapel, una città a 25 chilometri da qui, c’è stato un ammutinamento: l’esercito governativo è passato con i ribelli. Noi però non abbiamo neanche sentito sparare. Certo, usciamo il meno possibile dalla missione, le serate le trascorriamo qui”.

 

 

I volontari, giovani fra i 17 e i 20 anni, la sera alle 9, massimo alle 10, vanno a letto. La sveglia del mattino suona presto, alle sei. Ritmi africani: niente televisione, lavoro dal mattino presto fino a mezzogiorno, poi siesta (il termometro tocca i 40 gradi) e quindi ancora al lavoro dalle 16 alle 18, quando inizia la messa. I volontari sono studenti di meccanica, elettricisti, ma anche ostetriche e giornalisti. E tutti fanno di tutto: “Talenti al lavoro” li ha definiti la Provincia di Milano, che paga i biglietti aerei a questi ragazzi, scelti e formati da don Omar, in collaborazione con l’Università di Brescia e il comitato di Collaborazione Medica, organizzazione non governativa torinese attiva da più di trent’anni in Sudan.

 

 

Anche se a Tonj non si combatte, gli effetti nefasti della guerra sono arrivati, eccome. Il colera: la gente beve acqua stagnante, andare alle fonti più pure può essere pericoloso. E poi la malaria, che miete molte vittime. Ma non solo, sbotta don Omar: “Mai come quest’anno abbiamo visto tanta gente colpita dalla fame, molti sono sfollati, fuggiti ai combattimenti. Vengono a chiederci qualcosa da mangiare, perché non hanno nulla”.

 

 

Per molti ragazzi è uno shock. Quest’anno, con la guerra, anche più del solito. Finora però otto su dieci sono tornati o si preparano a tornare. Fra qualche giorno è previsto un avvicendamento. La missione di Tonj è pronta ad accogliere nuovi volontari.(DAVIDE DE MICHELIS - Vatican Insider)

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