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Pittura di luce, opere di Antoniazzo Romano in mostra a Montefalco

Redazione online Antoniazzo Romano
Pubblicato il 30-11--0001

Montefalco è il «balcone dell'Umbria». Così si è soliti definire la piccola città in provincia di Perugia, e non si potrebbe dir meglio perché chi si affaccia dal belvedere delle antiche mura vedrà Assisi alla sua sinistra, di fronte il monte Subasio, tutto intorno le dolci colline che producono il Sagrantino, uno dei vini italiani oggi più conosciuti e apprezzati nel mondo. Il museo civico, collocato nella ex chiesa di san Francesco, custodisce celebri capolavori. Basti citare, per tutti, il ciclo di affreschi con la vita del Poverello di Assisi che Benozzo Gozzoli, l'allievo più dotato del Beato Angelico, dipinse nell'abside intorno all'anno 1450.

Fra i dipinti conservati nel museo, ce n'è uno che da sempre affascina gli storici dell'arte e il pubblico colto. Si tratta di una tavola di medie dimensioni dipinta su fondo oro e raffigurante Caterina di Alessandria (la santa martirizzata, dice la sua leggenda, con ruote dentate che atrocemente straziarono le sue bellissime membra) fra san Vincenzo Ferreri e san Nicola da Tolentino. La tavola si trovava in origine nella cappella del cardinale di Portogallo in santa Maria del Popolo, a Roma. Le vicende della storia l'hanno portata a Montefalco.

Oggi quella tavola viene presentata in una mostra che durerà fino a tutta la prossima primavera, all'interno del museo di san Francesco. Viene presentata insieme a un polittico (la Vergine in trono fra santi) coevo, di recente restaurato nei laboratori vaticani e proveniente dalle raccolte d'arte della basilica di san Paolo fuori le Mura. Sono dunque a confronto due dipinti pressoché contemporanei, databili negli ultimi anni Settanta del XV secolo, usciti entrambi dalla bottega di Antonio Aquili, il pittore romano del Quattrocento meglio noto come Antoniazzo. Fermiamoci di fronte alla pala d'altare con santa Caterina.


Dietro di lei, dietro i due santi che, a destra e a sinistra, le fanno corona, scende il lucente muro del fondo oro. Il fondo oro è un antico vocabolo liturgico, serve a significare l'oltremondo, il fulgore del Paradiso. Qui, però, contribuisce a far emergere in tutta la loro monumentale evidenza e quasi a esaltare, accarezzandole con delicati effetti di ombre e luci portate, le figure dei santi protagonisti. Il nitore luminoso di Piero della Francesca e l'evidenza plastica di pittori fiorentini come Domenico Ghirlandaio si alleano per offrire allo spirito «reazionario» di Antoniazzo Romano l'occasione di consegnarci un capolavoro assoluto. Antonio aveva bottega in Roma, nei pressi del Pantheon. Tutti gli artisti che da ogni parte d'Italia venivano nella capitale in cerca di lavoro (Perugino, Pinturicchio, Pier Matteo d'Amelia dall'Umbria, Ghirlandaio, Cosimo Rosselli, Luca Signorelli, Bartolomeo della Gatta dalla Toscana, Melozzo dalla Romagna) passavano dalla sua bottega, anche perché Antoniazzo controllava il «sindacato» (diremmo oggi) degli artisti romani ed era quindi in grado di favorire la committenza e di offrire occasioni professionali.

Antonio Aquili guarderà tutti: assorbiva e rielaborava lo stile di tutti, rimanendo tuttavia fedele alla liturgica, solenne, gravità romana e cattolica della sua idea di pittura. Con la pala di Montefalco, dove il fondo oro non contraddice ma al contrario esalta la tenera luminosità dei sacri personaggi, lo dimostra molto bene.



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