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Fra Massimo e la mensa dei francescani, vicino ai poveri

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Dopo la morte improvvisa di padre Fabrizio Forti, tra volontari e utenti della mensa dei frati di via delle Laste c’era stato un comprensibile momento di smarrimento. «E ora?», si erano chiesti tutti. Nessuno ha mai avuto dubbi sul fatto che il servizio sarebbe andato avanti, ma serviva una guida. A farsi avanti è stato fra Massimo Lorandini, 43 anni, il più giovane dei frati cappuccini del convento. Nato in Friuli ma originario di Spormaggiore, dopo aver studiato filosofia e teologia, fra Max, come lo chiamano gli amici, è stato sette anni ad Arco dove si è occupato soprattutto di pastorale giovanile. Nel 2014 è arrivato a Trento dove ricopre anche il ruolo di vicario provinciale.

«Attualmente siamo una decina qui in convento. Molti sono anziani e gli altri più giovani avevano già impegni. Così mi sono fatto avanti. Sono comunque contento di questo nuovo incarico».

Una realtà nuova per lei o anche quando c’era padre Fabrizio collaborava con la mensa?

A dire il vero quando ero studente, nel 2003, ancora prima dell’arrivo di padre Fabrizio, ho lavorato qui in mensa. All’epoca c’erano meno volontari e era tutto organizzato in modo diverso. Padre Fabrizio ha avuto il grande merito di aver messo in piedi una macchina praticamente perfetta.

Attualmente quante sono le persone che ogni sera si rivolgono a voi?

In questo periodo sono circa 130 in quanto abbiamo avuto un aumento dovuto alla momentanea chiusura del Punto d’Incontro. Penso che poi ci assesteremo sulle 100 persone a sera.

Con la morte di padre Fabrizio avete notato qualche disaffezione tra i volontari o tra le persone che donano fondi o cibo?

No, anzi. C’è stato un aumento di disponibilità. I volontari, soprattutto quelli di lunga data, si sono dati ancora più da fare. Non essendoci stato un vero e proprio passaggio di consegne, ci sono tante cose che sanno solo i volontari e altre che non sa nessuno e che stiamo scoprendo insieme giorno dopo giorno.

Un periodo di transizione non privo di difficoltà, dunque?

Ci vuole tempo anche per assumere una certa autorevolezza all’interno della mensa e per conquistare le fiducia di volontari e utenti. Si ottengono solo stando dentro. Certo non pretendo di essere come padre Fabrizio e comprendo che molti ancora qui sentano molto la sua mancanza.

Però intanto nulla è cambiato. Tutti i servizi sono garantiti. Porterà qualcosa di nuovo?

Stimolato dalle parole del vescovo Lauro Tisi, lunedì ho un incontro con Calzà della Caritas per una maggiore sinergia. Poi cercherò dei contatti con i servizi sociali. Credo che il lavoro fatto in rete valga ancora di più. L’intenzione è quella di aiutare di più e meglio chi ne ha più bisogno. Per noi frati questa è proprio una missione. E poi c’è il discorso della pastorale.

Cioè?

Cioè, sul solco di quanto faceva padre Fabrizio, c’è la volontà di mantenere i gruppi di ragazzi provenienti dalle varie parrocchie che vengono qui a capire la nostra realtà. L’intenzione è quello di coinvolgere tra i volontari anche persone più giovani. Giusto che i ragazzi capiscano come funzionano certe cose. Qui, ad esempio, vengono uomini che prima avevano un lavoro, che erano dipendenti della Whirlpool e che non sono più riusciti a trovare un impiego. Entrare in contatto con queste realtà aiuta i ragazzi a togliersi un po’ di pregiudizi, a capire che è una situazione, quella in cui si trovano certe persone che vengono qui, nella quale ci si potrebbe trovare tutti.

Anche gli aiuti non sono calati?

No, la morte di padre Fabrizio ha fatto il miracolo di far sentire ancora più responsabili le persone. C’è una società, la Blue City, ad esempio, che si è presa carico di pagare mensilmente le spese farmaceutiche che sosteniamo per le persone che si rivolgono a noi. E poi abbiamo ricevuto anche molte donazioni da parte dei volontari ai quali va tutto il nostro grazie.

Oggi come oggi chi siede alla vostra mensa per trovare un piatto caldo in tavola?

La maggior parte sono stranieri, soprattutto africani. Più uomini che donne. C’è un nucleo storico di persone che io ricordo ancora nel 2003, quando ero qui. C’è comunque un grosso turn-over. C’è, ad esempio, un gruppo di ragazzi pakistani che arriva dalla Germania, altri dalla Francia. C’è una migrazione interna all’Europa. Proprio un paio di giorni fa ho pagato il biglietto ad alcuni di loro. Avevano amici in Germania e speravano di riuscire a trovare lavoro lì. www.ladige.it

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